Il 2023 doveva essere l’anno della definitiva rinascita, per l’economia globale come per il vino. E invece, una volta superata la crisi pandemica, il mondo è precipitato presto in un’altra spirale, persino peggiore: la guerra in Ucraina. Che ha portato al boom dei costi del gas e delle materie prime che hanno trascinato l’inflazione ai livelli più alti degli ultimi 40 anni. A farne le spese, evidentemente, i consumi, anche di vino, tra i primi beni ad essere sacrificato dai carrelli della spesa, in Italia e nel resto del mondo. Il calo dei consumi globali, del resto, specie per i vini fermi, non è una novità, ma una tendenza di lungo corso con cui i territori, grandi e piccoli, devono fare i conti, aprendo la strada a nuovi mercati, specie in Estremo Oriente, o orientandosi su dinamiche di prezzo più profittevoli.
Infine, come se il quadro non fosse abbastanza complesso, l’Europa sembra muoversi su politiche salutiste (come racconta il via libera della Commissione Ue agli health warning in retroetichetta voluti dal Governo irlandese) che mirano, entro il 2030, ad un taglio dei consumi di alcol del 10%. Che armi hanno, e che soluzioni possono adottare, per guardare con ottimismo al domani, i Consorzi del vino? Ne abbiamo parlato con Giovanni Busi, presidente del Consorzio Chianti, e Bernardo Guicciardini Calamai, presidente del Morellino di Scansano, insieme, come d’abitudine, nella “Settimana” delle “Anteprime di Toscana”, a Firenze, nella cornice della Fortezza da Basso (qui lo stato dell’arte del vino toscano, nella fotografia scattata da “PrimAnteprima 2023”).
“Quelli che ci siamo messi alle spalle sono stati anni difficili, e per quanto abituati a fare i conti con i capricci della natura, e ad adattarci di conseguenza, prima la pandemia e poi la crisi in Ucraina ci ha costretto a fare i conti con dinamiche nuove sui mercati”, dice Bernardo Guicciardini Calamai, presidente del Morellino di Scansano.“La nostra denominazione è stata sostenuta in maniera efficace dal canale Gdo durante la pandemia, ma non siamo riusciti a far ricadere sui prezzi allo scaffale la crescita dei costi seguita alla guerra in Ucraina, e il calo del potere d’acquisto dei consumatori ha portato ad una flessione sul canale della Gdo. Di contro, il mercato interno, specie le città d’arte, hanno trainato il settore Horeca, compensando il calo della Gdo e portando ad un aumento del prezzo medio. È un trend difficile da bilanciare, ci vorrà grande attenzione per i mercati esteri, dove il Morellino di Scansano ha ancora tanto lavoro da fare”.
Mercati esteri su cui, invece, il Chianti è forte da tempo, da quelli storici a quelli emergenti, specie dell’Asia, dove, come spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio Chianti, “i dati di questo inizio 2023 raccontano uno scenario decisamente più confortante di quanto si potesse immaginare fino alla metà del 2022. Il Chianti, che vende il 70% della sua produzione all’estero, torna ad avere prospettive importanti in Cina, così come in Usa, ma anche in Russia ed Ucraina, che nonostante il conflitto continuano a comprare. Il problema, in questa fase, non è quantitativo: negli ultimi 4 anni abbiamo ridotto le scorte di 200.000 ettolitri, per cui una produzione importante come la 2022, dopo cinque vendemmie sotto la media, è importante per mantenere una certa presenza sui mercati, specie sul canale della Gdo, che in Italia e all’estero vale il 70% del venduto”, aggiunge Busi.
Ed è proprio sui mercati esteri che diventa fondamentale usare bene gli strumenti di marketing, comunicazione e promozione in mano ai Consorzi e alle Regioni. “La pandemia ha cambiato il modo di affrontare la promozione sui mercati”, riprende Bernardo Guicciardini Calamai. “Ci sono fiere che non funzionano più come un tempo, operatori che viaggiano meno, e allora all’estero bisogna andare in maniera mirata ed intelligente, e l’altro grande obiettivo è quello di fare venire gli operatori a conoscere la bellezza e l’unicità dei territori, specie quando sin parla di luoghi come la Maremma, che sta diventando una meta turistica sempre più attrattiva. Una scelta che ha giovato molto è stata quella di portare in etichetta la menzione Toscana, che ha portato benefici importanti su diversi mercati, a partire da quello Usa, dove ancora non siamo così conosciuti”.
Al contrario, per motivi evidentemente storici e dimensionali, del Chianti, forse la più nota tra tutte le denominazioni del vino italiano, sicuramente quella con più storia alle spalle. “Eppure, non è conosciuta come dovrebbe”, ricorda Giovanni Busi. “Dobbiamo insegnare ai consumatori di tutto il mondo le peculiarità produttive di un territorio immenso, che abbraccia buona parte della Toscana: dobbiamo far entrare le persone nel bicchiere, avvicinarli alle diverse espressioni del Sangiovese. In questo senso, portare nella nostra quotidianità operatori e wine lovers è un obiettivo comune a tutti, e le attività che portiamo avanti vanno in questa direzione, senza lasciare indietro nessun mercato, dall’America all’Asia, passando per i Paesi europei, portando con noi le aziende, perché è l’unico modo per portare il Chianti sui mercati”.
Proprio l’Europa, però, in maniera un po’ beffarda, rischia di rivelarsi l’ostacolo più alto, perché le politiche di tutela della salute pubblica messe in pista dall’Unione Europea rischiano di penalizzare proprio il vino, come racconta la battaglia irlandese al grande problema dell’abuso di alcol, che ha finito per portare in etichetta gli health warning che, al contrario di quanto deciso dal Parlamento Europeo in sede di Beating Cancer Plan, non fanno alcuna distinzione tra uso e abuso, finendo per portare anche il vino sul banco degli imputati.“L’iniziativa irlandese non arriva inattesa, è un Paese con problemi profondi di abuso di alcol, ma la soluzione non può essere una scritta in etichetta. È un problema esistente, che va affrontato in maniera razionale e scientifica: è un bene che il consumatore si informi, ma alla base ci vogliono dati solidi e condivisi, perché molti studi dimostrano gli effetti benefici legati al consumo limitato di vino, e ne andrebbe tenuto conto”, commenta il presidente del Consorzio del Morellino, Bernardo Guicciardini Calamai. “Tanti Paesi produttori, oltre all’Italia, come Francia, Spagna e Portogallo, si stanno muovendo a livello europeo per portare avanti questi principi, e le Istituzioni stanno lavorando bene, ma non basta rifugiarsi dietro alle tradizioni, serve il supporto della scienza, e in tal senso la letteratura non manca”.
Come se non bastasse, infine, i dati sui consumi di molti Paesi, dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la stessa Italia, mostrano come mentre il vino fermo, globalmente, vive una lunga tendenza negativa, i suoi principali competitor, ossia gli spirits, grazie al grande successo della mixology, e la birra, sull’onda della crescente popolarità delle birre artigianali, stanno attraversando al contrario un momento decisamente felice, specie tra i più giovani. “Sul mercato dei consumi c’è spazio per tutti, ma è chiaro che il mondo del vino debba lavorare bene sul fronte della comunicazione, specie quella che passa per i social”, conclude il presidente del Consorzio Chianti, Giovanni Busi. “In questo senso, dobbiamo stare attenti ai messaggi che passano: la gravità del caso irlandese sta nel fatto che non si parli di abuso, ma genericamente di consumo. In realtà, per qualsiasi prodotto dell’agroalimentare valo lo stesso concetto: non è l’uso, ma l’abuso, a fare male: un panetto di burro al giorno fa male, ma non si può certo sostenere che il burro faccia male tout court, e lo stesso vale per il vino”.
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