“La produzione dei dealcolati in Italia si farà, perché tutto il mondo del vino li vuole ed è d’accordo. Quindi ci allineiamo, ma proverò a convincere tutti che questi prodotti non si possono chiamare vino”. Parole del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, pronunciate in occasione dei festeggiamenti, nei giorni scorsi a Roma, dei primi 20 anni dell’Istituto Grandi Marchi (con proiezione di un docu-film celebrativo), e che ora aprono a scenari tutti da capire. Solo ieri l’Unione Italiana Vini (Uiv) informava sul fatto che il Ministero dell’Economia avesse “ritirato le norme relative ai vini dealcolati recentemente inserite nella proposta di decreto legislativo in materia di accise” e che ora “superato l’impasse è necessario che il Ministero dell’Agricoltura approvi al più presto il decreto tenendo conto degli elementi principali già discussi con la filiera”. Ovvero che il processo di dealcolizzazione debba avvenire in locali appositamente dedicati oppure il divieto della pratica per i vini Dop/Igp e anche il considerare la soluzione idroalcolica residua (acqua di rete, tra il 95% e il 99,9%) come rifiuto e quindi non sottoposta ad accise.
Ma quale decreto attendersi sui vini dealcolati se questi, secondo Lollobrigida, non si possono più chiamare vini? Il Ministro mette i puntini sulle “i” e cita direttamente l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino: “sono loro che definiscono il vino come un prodotto che ha l’alcol che la natura gli dona attraverso un processo di trasformazione, e non di addizione. Proverò a convincere tutti che si può fare una bevanda dealcolata e si può rinunciare a chiamarla vino”.
Il Ministro apre, dunque, a una futura svolta per il comparto, ma vorrebbe che le aziende, quanto meno, rinunciassero a chiamare il prodotto con il termine “vino”. Urge ora quindi trovare una sorta di compromesso con le imprese vinicole, con l’Uiv in prima linea, che premono per una maggiore libertà normativa, sostenendo che la possibilità di produrre vini dealcolati potrebbe aprire nuove opportunità di mercato. Ma, a questo punto, per chi? “L’italiano ha tante parole per chiamare tutto - dice Lollobrigida - siamo una Nazione strana o un’Europa strana dove pur avendo tanti termini, si arriva anche a definire “bistecca” un prodotto con due ceci. Ora vogliamo chiamare “vino” un qualcosa che non ha al suo interno lo stabilizzatore principale che permette al vino di evolvere in un livello di qualità maggiore”.
E sul consumo aggiunge: “in generale la società si evolve verso un uso moderato di vino. Ma occorre piuttosto parlare di qualità e del prezzo giusto, perché se tu vuoi un prodotto di qualità italiana dietro c’è lavoro, il rispetto delle regole e del territorio. Ci sono tante cose che hanno un costo. E questo costo deve diventare un prezzo e un valore riconoscibile, su questo dobbiamo fare uno sforzo e lo facciamo con tutte le iniziative”, ha concluso il Ministro Lollobrigida.
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