Era così anche in passato, quando l’agricoltura e la produzione di vino erano parte integrante del sistema delle ville, in quanto fonte di sostentamento per proprietari e contadini, fin dall’epoca romana, come testimoniano gli scavi di Pompei, nel Medioevo, nei possedimenti feudali attorno ai Castelli o alle Corti lungo il fiume Po, dai Castelli Romani alle masserie in Puglia, passando per i bagli siciliani, dalle epoche di massimo splendore, se solo si pensa alle Ville Medicee, rifugi prediletti della famiglia Medici nella campagna toscana (dove “Il paesaggio del sistema delle ville-fattoria del Chianti Classico” è candidato all’Unesco, come lo sono il resto degli esempi qui citati) e le Ville Venete, costruite dai nobili veneziani nell’espansione di Venezia nell’entroterra, alle Ville Sabaude in Piemonte, o alle residenze reali sparse nella campagna italiana nelle quali, sull’esempio del “potager du roi”, il grande “orto del re” della Reggia di Versailles, gli orti fungevano da “dispensa naturale” per sontuosi banchetti. Ed è così ancora oggi, con i vigneti-giardino, ma anche orti, frutteti ed oliveti, che rinascono e sono sempre più presenti in ville, castelli e dimore storiche, molti dei quali sono vere e proprie cantine o appartengono ad aziende prestigiose. Questo perché, ancora oggi, il ricavato della vendita dei loro frutti - che rappresentano anche un’“attrazione” per i visitatori che pagano un ingresso per ammirare il verde monumentale, o che diventano occasione per organizzarci attorno eventi culturali - servono a mantenere questi simboli importanti del patrimonio culturale italiano, la cui conservazione costa moltissimo ai proprietari, pubblici o privati che siano.
Considerando, in particolare, solo questi ultimi, secondo il Rapporto n. 5 dell’Osservatorio del Patrimonio Culturale Privato, realizzato dalla Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale Ets, promosso da Adsi-Associazione Dimore Storiche Italiane, Confagricoltura, Confedilizia e Istituto per il Credito Sportivo e Culturale S.p.A, e presentato nei giorni scorsi, a Roma, su oltre 43.000 beni vincolati in Italia, più di 19.000 sono imprese gestite con attività produttive strutturate o occasionali (con codice Ateco). A queste, bisogna aggiungere oltre 10.500 proprietari che hanno in programma o vorrebbero avviare un’attività commerciale, portando a quasi 30.000 operatori potenzialmente attivi nel settore dell’accoglienza, della ristorazione, delle attività museali e dell’organizzazione di eventi. Dati significativi che confermano come il settore delle dimore storiche rappresenti lo 0,6% del totale delle imprese attive in Italia, un decimo delle piccole imprese italiane che operano nella ricettività e nella ristorazione. Enorme il potenziale di crescita di queste attività: solo nel 2023 hanno accolto 34 milioni di visitatori, in forte aumento sugli anni precedenti, e, tra interventi ordinari e straordinari, si stima che i proprietari abbiamo speso complessivamente oltre 1,9 miliardi di euro, contribuendo ad oltre un decimo dell’incremento del Pil italiano.
A riunirli, è l’Associazione Dimore Storiche Italiane (Adsi), che sono beni culturali di rilevante interesse tutelati dallo Stato con l’apposizione del “vincolo” in quanto riconosciuti importanti per la collettività; essendo privati, sono affidati alla responsabilità̀ dei proprietari che non solo si occupano della loro conservazione, ma vi abitano e li mantengono vivi, parte del tessuto culturale e anche produttivo ed economico; in questo modo, oltre a mantenere l’immobile, il proprietario si fa conservatore e trasmettitore di tradizioni, usi e memorie antiche. Le dimore storiche sono un patrimonio vasto ed eterogeneo, si tratta di case e palazzi, come, per fare solo alcuni esempi, il cinquecentesco Palazzo Lana Berlucchi in Franciacorta nelle cui cantine la famiglia Ziliani custodisce la storia del primo Franciacorta, o il rinascimentale Palazzo Contucci in Piazza Grande a Montepulciano con le storiche cantine del Vino Nobile nella “città del Poliziano; ma anche ville e castelli, da Villa Serego Alighieri, Villa Veneta in Valpolicella Classica appartenente ai Conti Serego Alighieri, discendenti del Sommo Poeta Dante Alighieri, e nell’alveo del Gruppo Masi, alla Villa Medicea di Artimino, nelle colline vitate del Carmignano, da Villa Cusona a San Gimignano della nobile famiglia Guicciardini Strozzi tra i vigneti della Vernaccia, a Villa Le Corti nel cuore del Chianti Classico e di proprietà dei Principe Corsini, dalla settecentesca Villa della Tenuta La Marchesa a Gavi fino a Villa Tasca tra Palermo e Monreale, culla della vita sociale ed artistica siciliana di metà Ottocento, e che ha ispirato a Wagner il terzo atto del “Parsifal”, di proprietà della famiglia Tasca di Tasca d’Almerita, dal medioevale Castel Mareccio, circondato di vigneti a Bolzano, al Castello di Castagneto Carducci che fu del Conte Ugolino della Gherardesca, protagonista di uno dei Canti più famosi della “Divina Commedia” di Dante, ancora oggi di proprietà della storica famiglia bolgherese, dall’antico Castello Banfi a Montalcino, tra le roccaforti della Repubblica di Siena, oggi tra i vigneti di Brunello, ai Castelli dove è stata scritta la storia del Chianti Classico, come il Castello di Brolio dei Barone Ricasoli e Castello di Fonterutoli della famiglia Mazzei, o agli storici manieri tra i vigneti delle Langhe, Roero e Monferrato come Castello di Gabiano; e, ancora, giardini e tenute agricole, distribuiti capillarmente in tutto il Paese, un largo numero anche nelle territori rurali e nei piccoli borghi, come Badia a Coltibuono, abbazia vallombrosana dell’anno Mille sempre in Chianti Classico della famiglia Stucchi Prinetti, o la Tenuta Bossi dei Marchesi Gondi nel Chianti Rufina, passando per la Tenuta di Pietra Porzia a Frascati nei Castelli Romani.
Ognuno di questi beni ha una precisa identità: per la sua storia, per il suo valore culturale e artistico e per lo stretto legame con il territorio di riferimento, di cui il vino e gli altri prodotti della nostra agricoltura, sono il “medium” per raccontarli.
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