Il bosco, gli gnomi, le fate: è facile che la suggestione ti prenda la mano quando si vive, si respira e poi si ripensa ad una condizione agronomica e ambientale ad esempio come questa, che Sergio Barbaglia e sua figlia Silvia difendono e promuovono ormai da anni, essendo oltretutto fra i protagonisti principali dello sdoganamento del Boca rispetto ad altri colossi del Nebbiolo più celebrati quali, inutile precisarlo, Barolo o Barbaresco. Un lavoro encomiabile, per una cantina le cui origini risalgono alla fine del secondo conflitto mondiale, e che a tutt’oggi vive ancora di un produzione complessivamente limitata, anche rispetto ad altri pur validi campioni limitrofi: muovendo all’interno dei suoi neanche cinque ettari di vigneto e di una produzione mediamente quantificabile intorno alle venticinquemila bottiglie. Con l’impegno meritevole, fra l’altro, teso al recupero delle vigne allocate in quell’ambito boschivo di cui si diceva all’inizio, caratterizzato dai terreni rossi e ferrosi di un contesto naturale che non si stancherebbe mai di rimirare. Anche da questi elementi arriva il Boca dell’azienda, intenso, concentrato, minerale, speziato e mentolato, dai ricordi di viola, erbe alpestri, prugna, grafite, lampone, scorza d’arancia e melograno. In bocca si rivela succosissimo, dinamico e piacevolmente contrastato, elegante ma di beva decisamente coinvolgente ed appagante.
(Fabio Turchetti)
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