È ormai da un po' che si parla tanto di "volcanic wines", così, in inglese, perché il fenomeno è globale e i vulcani nel mondo - soprattutto spenti - con vigneti sono tantissimi. Il vulcano per eccellenza nell'immaginario collettivo è però uno solo: il Vesuvio e qui il vino si è sempre fatto, come testimonia - alle sue falde - uno dei patrimoni archeologici più importanti al mondo. Oggi il vigneto complessivo non supera i 300 ettari tra i due versanti, quello nord del Monte Somma e quello sud-est che dirada verso la costa. A Boscotrecase c'è l'azienda più grande del Vesuvio, la Sorrentino Vini, madre, padre e tre figli, oltre alla presenza virtuale di una nonna, Benigna, che fu la custode delle piante autoctone della zona. Le uve sono quelle indigene: Piedirosso, Caprettone, Aglianico, Falanghina. Fondamentale, l'approccio turistico. L'ascesa al cono è la seconda attrazione in Campania dopo gli scavi di Pompei e i Sorrentino hanno fatto dell'enoturismo una carta vincente. Poi c'è l'attenzione alla bottiglia e il desiderio di capirne la longevità. Questo 2011 dà ragione a chi crede che i vini del Vesuvio invecchino bene. Pur partendo dalla base neutra del Caprettone l'evoluzione naso/bocca esprime la complessità giusta: prima le note più fresche agrumate che evidenziano la "giovinezza" della beva, poi una mielosità, una pietra focaia, un ammandorlato esotico, che rendono il vino assai saporito.
(Francesca Ciancio)
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