Capire la provenienza del vino contenuto in una bottiglia dall’analisi del Dna o di elementi chimici sarà presto possibile. Lo sostiene il professor Mario Fregoni, ordinario di viticoltura all’Università di Piacenza, hai microfoni di www.winenews.tv.
Una questione fondamentale, perché come spiega Fregoni, “una mia ricerca ha dimostrato che il 96% del vino italiano che beviamo è frutto di mescolanze di più varietà di diversa provenienza, e questo non sempre è lecito, specialmente se si parla di denominazione di origine controllate”.
Il professore però specifica: “l’analisi del Dna è possibile ma solo in tempi brevi, perché dopo un paio di mesi l’alcol distrugge il filamento. Ma con l’analisi chimica di sostanze come gli antociani si può individuare la varietà di vite presente in un vino e individuare eventuali tipologie estranee al dichiarato”.
“Questo - precisa Fregoni - non vuol dire che il vino ottenuto da tagli non sia buono, anzi, in Italia questa pratica a dato vita a prodotti eccellenti, ma non sono più quelli dichiarati in etichetta”.
Analisi del Dna dunque, ma anche di aromi e elementi traccia, “ma ancora non c’è un metodo inoppugnabile per difendere e proteggere le produzione e l’identità dei vini”.
Il professor Fregoni da questo punto di vista è ottimista e pensa che si giungerà presto a uno strumento affidabile, ma la domanda che si pone è un’altra: “la nostra viticoltura è preparata a questo? Fino ad ora è stata sempre una enologia di taglio, che ha dato prodotti migliori della semplice vinificazione di una sola uva. Ma quanta confusione, e direi, anche quanta truffa alla buona fede dei consumatori”.
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