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Che cosa pensano i grossi distributori e importatori esteri del vino italiano
di Michèle Shah

Una delle qualità dell’Italia che affascina noi stranieri è la sua richezza culturale, sia artistica, sia le tradizioni popolari che da regione a regione si differenziano. Il piacere di viaggiare in Italia è anche il piacere di confrontarsi con le tradizioni culinarie, per non parlare della varietà dei suoi vini autoctoni. Quello che vorrei sottolineare è il fascino della sua identità e tipicità, come diciamo noi inglesi, la sua diversity, una qualità assolutamente da salvaguardare dal trend della globalizzazione e standardizzazione. Anche a conclusione del Vinitaly n. 36 è notevole la crescita dell’interesse del pubblico e del numero di aziende espositori (circa 4000 di cui 26 paesi stranieri). Si dice che sono 52 i milioni di ettolitri di vino italiano (pari al 30% dell’intera produzione Ue) e che l’export del vino italiano sia cresciuto del 4,3% nel 2001 (pari a 2580 milioni di euro, un livello record). Il vino è un business importante, ma è anche una parte del patrimonio culturale, e per questo è importante stare con i piedi per terra, non correre troppo senza prendere dell scorciatoie, ma lavorare bene, soprattutto in vigna per produrrere vino di qualità che rispecchià una precisa identità e tipicità.

Che cosa ne pensano i grossi distributori e importatori esteri? “Dopo l’11 settembre il mercato Usa è di nuovo in ripresa”, conferma Marc De Grazia, direttore generale di Marc De Grazia Selections srl, importatore per Usa (75%) ed Europa (25%), con un portfolio tutto italiano, che specifica ‘Fine wines from the great crus of Italy’. “Negli ultimi 3 anni, siamo in crescita annualmente dal 10% al 15%. Vendiamo soprattutto i vini rossi, toscani, piemontesi ma anche i vini del Sud, come il Nero d’Avola in purezza, l’Aglianico e il Primitivo. Nei bianchi vendiamo bene la Vernaccia di San Gimignano, l’Orvieto classico, il Fiano e il Greco della Campania”. In Europa - secondo De Grazia - il mercato del vino italiano sta crescendo, grazie soprattutto ai ristoratori, wine-bar e wine-shops. E sempre secondo De Grazia, il mercato scandinavo ha un potenziale ‘eccezionale’, limitato dal monopolio. La Svizzera va bene, ma la Germania ultimamente risente della crisi economica e le vendite sono calate del 20%. Invece, il Giappone sta di nuovo risalendo, ma l’ostacole delle vendite in Asia rimane sempre una questione culturale e di tasse e dazio che in Thailandia viene caricato fino al 400% sopra il valore del vino. “L’accesso più significativo per i vini italiani ai mercati esteri è attraverso la ristorazione italiana all’estero”, conclude De Grazia, precisando che l’Italia deve differenziarsi puntando sui vitigni autoctoni.

“Sempre di più gli americani si avventurano verso vini autoctoni come il Taurasi e il Salice Salentino della Puglia, la Lugana del Veneto spostandosi via dal solito Chardonnay, ma rimanendo affezionati al Pinot Grigio”, conferma Don Woodall, National Sales Manager di Winebow Imports. Con la recente crisi economica degli Usa il pubblico si è diretto verso una fascia di vini medio-economico. Woodall conferma che il 60% delle loro vendite sono vini che vanno da 8 a 12 dollari. In quantità ridotte vendono anche vini primium nella fascia dai 50 ai 150 dollari come i cru di Bruno Giacosa, Voerzio e Allegrini. Spostandoci sul mercato inglese, troviamo un mercato difficile per i vini italiani i quali devono competere con la tradizione culturale dei vini francesi e il nuovo mercato che proviene dal Mondo Nuovo offrendo un miglior rapporto qualità-prezzo. “La crescita dei vini italiani in Inghilterra è modesto se paragonato a quello dei vini del Mondo Nuovo” conferma David Gleave, direttore generale della Liberty Wine, considerato uno dei più importanti distributori di vini Italiani sul mercato inglese. “La crescita maggiore lo vediamo nei vini di medo mercato che vendiamo tra 5/8 sterline la bottiglia, che provengono da aziende già confermate sul mercato. Questa fascia di mercato che oggi si trova in crescita sia come qualità, sia nella scelta di vini disponibili sul mercato, si trova in difficoltà perchè deve competere con i vini francesi e quelli dal Mondo Nuovo”, spiega Gleave. Secondo Gleave, il mercato dei vini italiani ha preso piede sul mercato inglese soltanto negli ultimi dieci anni e perciò è ancora un mercato giovane. Il motore delle vendite italiane in Inghilterra rimane sempre il Veneto e il Soave, ma con una immagine ben diversa dagli anni 70, grazie ad aziende come Allegrini e Pieropan. Per quanto riguarda il Sud oltre ad alcune aziende i vini non hanno ancora raggiunto un livello di qualità stabile.

E per il futuro dei vini italiani ? Bisogna lavorare meglio e di più in vigna. Sicuramente puntare sui vitigni autoctoni, migliorandone la qualità con una maggiore selezione. Avverte Gleave: “l’Italia spesso rimedia modificando il vino in cantina, invece di rinnovare e lavorare di più in vigna.”

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