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Dal Risotto al Barolo inventato da Cavour ai 3.400 Carciofi alla romana per Innocenzo XII, dalla Galantina di pollo dei Lanza e Tasca d’Almerita al Caffè della contessa Leopardi, ecco “Gli Aristopiatti”, nel ricettario firmato Capasso & Esposito

Non Solo Vino
Gli Aristopiatti, il libro firmato da Lydia Capasso e Giovanna Esposito


Dai Carciofi, serviti sempre uguali e allo stesso tavolo a Cavour al ristorante Cambio a Torino, al Risotto al Barolo inventato dal Conte, cui entrambi gli ingredienti devono parte della loro gloria; dal nostro grazie per lo zafferano ed il pepe alla Serenissima, alla disputa, tra cuochi che passano da una corte all’altra, intrecciarsi di famiglie signorili, e contese non solo di confini, sull’origine della Zuppa inglese tra Estensi e Piccolomini; l’idea di utilizzare l’arancia con l’Anatra? Per primi l’ebbero i toscani, e solo dopo attraversò le Alpi con Caterina de’ Medici; al banchetto papale del principe Borghese in onore di Innocenzo XII furono serviti 3.400 Carciofi alla romana, ma mai quante le 10.000 ostriche per il matrimonio di Afonso II d’Este e Barbara d’Austria a Ferrara; e, ancora, dall’arista alla fiorentina dei Frescobaldi alla Galantina di pollo che ancora oggi si cucina (e si impara) in Sicilia a casa Lanza di Mazzarino e Tasca d’Almerita al Caffè della contessa Anna Leopardi di San Leopardo (con immerso il gelato Croccante), si arriva fino al taglio monumentale del timballo del Principe di Salina: il più celebre atto gastro-politico della letteratura e del cinema. Tra aneddoti, curiosità, leggende e vicende umane che si celano dietro ad ogni piatto, il volume “Gli Aristopiatti. Storie e ricette della cucina aristocratica italiana” (Guido Tommasi Editore), scritto a quattro mani da Lydia Capasso e Giovanna Esposito è un viaggio in Italia nelle cucine dei oalazzi e dei papati nel corso dei secoli sullo sfondo del Piemonte, di Venezia, della Pianura Padana, della Toscana, di Roma e delle terre Borboniche, alla scoperta di 72 ricette di famiglie nobili che, dalle cucine del potere alle tavole diplomatiche, al piacere dei personaggi illustri che le hanno assaggiate, hanno scritto un “pezzetto” di storia italiana
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Curiosando tra salotti, cerimonie e cuochi regali - “Cuoco: che bella parola! Cuoco ...” (cfr. Totò-Felice Sciosciammocca nell’eterno confronto tra chi ha la fame e chi il cibo nel capolavoro cinematografico “Miseria e Nobilità”), nel corso dei secoli, con “Gli Aristopiatti” si è toccato l’apice della raffinatezza gastronomica italiana. Quando cioè il cibo doveva colmare lo stomaco e soddisfare il palato, ma anche suscitare meraviglia. È nel Piemonte dei Savoia che per la prima volta compare il menu e le portate si succedono una dietro l’altra, e l’avere un cuoco francese nelle cucine aristocratiche diventa d’obbligo. I banchetti veneziani del Cinquecento in onore di personaggi di spicco erano un trionfo di zucchero sia nei piatti che nella scenografia, perché la polvere di Cipro era monopolio della Serenissima. Dalla Mantova dei Gonzaga alla Ferrara degli Estensi, i signori del Rinascimento, oltre all’arte ed alla letteratura, amavano anche mangiare, e molto, in banchetti che, com’è noto, erano dei veri spettacoli. Caterina de’ Medici andava matta per il Cibreo, ma sono soprattutto i Pontefici ad esser famosi per le loro preferenze gastronomiche, da Martino IV e le anguille alla Vernaccia a Pio II e il pecorino. Alla corte dei Borboni si devono i francesismi monsù, gattò e culì, tra Napoli e la Sicilia. Ai ricordi e alle ricette di famiglia è dedicato un intero capitolo, dalle Fettuccine al ragù dei Barberini al Risotto con filetti di pesce persico dei Borromeo, dalla Pizza della signora Adele di casa Patroni Griffi al Soufflè di patate di Sperlonga dei Visconti di Modrone.
“Gli Aristopiatti”, spiegano le autrici del volume (Guido Tommasi Editore, pp. 208, prezzo di copertina 14 euro), “non è né un volume storiografico né un trattato di gastronomia: semplicemente, un ricettario, in cui ci siamo concesse qualche libertà, e se una ricetta è contesa tra più città o Regioni, abbiamo deciso dove collocarla lasciandoci guidare più dal fascino della storia che le accompagna, inserendo qua e là piatti dall’incerta patente di nobiltà ma che per ingredienti e realizzazione abbiamo ritenuto di poter ascrivere ragionevolmente alla tradizione aristocratica, e compiuto qualche piccolo tradimento nei confronti delle ricette canoniche per attualizzarle”.
Un’eredità quella delle corti italiane in buona parte integrata nelle nostre tradizioni, solo apparentemente distante dalla cucina popolare, visto che è assieme che compongono quel patrimonio culinario così rigoglioso vanto dell’Italia.
Info: www.guidotommasi.it

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