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E se il vino fosse un oggetto estetico? Considerazioni a margine sul valore oggettiva della degustazione
di Franco Pallini

Il vino, si sa, è sempre più spesso allontanato dalla sua dimensione minimale di prodotto della trasformazione di frutti della terra, assumendo, piuttosto, una dignità specifica non priva di connotazioni evocative e immateriali, che, qualora voglia essere rivendicata a giusta ragione, impone che il vino stesso venga riconosciuto entro un orizzonte più ampio ed adeguato: quello dell’estetica. La prospettiva estetica entra in scena non appena il vino viene considerato non già una mera cosa (un puro oggetto, un prodotto chimico), né semplicemente un alimento, o un farmaco, o una merce, ma un oggetto estetico, cioè un oggetto dotato di valore estetico. Parlando di valore estetico di un oggetto, per giunta di un oggetto alimentare come il vino, viene suggerito immediatamente un riferimento al valore della piacevolezza sensibile: noi possiamo valutare il vino gradevole o sgradevole per i nostri sensi, in quanto ci piace o non ci piace. Possiamo allora dire che ogni volta qualcuno beve vino in funzione della piacevolezza per i propri sensi, stia allora assumendolo come oggetto estetico?
La risposta è decisamente no, a partire dal fatto che il semplice atto del bere vino in funzione della sua piacevolezza non significa affatto degustare. Il bere, diciamo, “edonistico” (l’approccio al vino di un consumatore magari assai esigente, ma non esperto), infatti, non mira all’apprezzamento obiettivo del valore estetico del vino, ma tratta semplicemente il vino come un mezzo per il soddisfacimento dei propri sensi, un mero oggetto di apprezzamento sensibile, senza alcuna comprensione spirituale dei valori dell’oggetto. L’atto che mira a cogliere il valore estetico del vino è, invece, la degustazione, in cui vengono valutate le qualità estetiche dell’oggetto, mediante un esame delle sensazioni visive, olfattive, gustative, tattili, che esso sollecita.
Niente di nuovo sotto il sole, almeno stando a quanto scritto da Emile Peynaud nel suo famoso testo “Il Gusto del Vino”: «c’è molta diversità tra il bere e il degustare. I buoni vini, i grandi vini, non sono bevande che si ingeriscono: si assaporano; perciò non si bevono come si suole fare con una bevanda dissetante, a grandi sorsi, per cogliere la sola sensazione tattile del liquido che rinfresca la gola. Bere vino non rappresenta solo la dolce causticità che accompagna la consumazione di una bevanda alcolica … Diversamente dai sapori monotoni delle bevande artificiali, il vino presenta, per chi lo vuole interpretare bene, una infinita gamma di aromi e sapori naturali: è vario, molteplice, non è mai lo stesso, perché il momento del bere cambia, perché il cibo è diverso e forse anche l’umore di chi lo beve è diverso da momento a momento. Risultato di molte fatiche di scienza e pazienza, il buon vino, il grande vino, merita impegno da parte di chi lo vuol conoscere, affinché giunga a lui, degustatore, il messaggio di coloro che l’hanno elaborato per il piacere di altri. La degustazione serve a decifrare questo messaggio e a codificare le sensazioni gustative. Per bere è sufficiente il piacere fisico, per degustare ci vuole anche intelligenza e competenza».
Ciò che fa di un oggetto un oggetto estetico è il valore estetico. Il valore estetico è un contenuto spirituale. Un oggetto estetico deve lasciarsi apprezzare per le proprie qualità di struttura, equilibrio, armonia, eleganza, etc. Poiché esso esibisce, questi valori, esso è un oggetto estetico. Se l’oggetto non ha questi contenuti spirituali non è un oggetto estetico (se questi contenuti vengono ignorati, l’oggetto non conta come oggetto estetico). È solo la sua trama di valori, infatti, che fa di un oggetto un oggetto estetico. Un oggetto non diventa un oggetto estetico per il fatto che il suo consumo viene accompagnato da vissuti di piacere o di godimento. Se così fosse l’esteticità risiederebbe esclusivamente nel soggetto e qualsiasi oggetto potrebbe assumere tratti estetici, purché lo si viva in un determinato modo. Per l’esteticità dell’oggetto, invece, è determinante anche l’oggetto stesso, che deve essere compreso per i valori estetici che gli sono propri (una coca-cola non è un oggetto estetico, nonostante la piacevole sensazione rinfrescante che è in grado di offrire: è priva di una trama valoriale, non possiede in se stessa qualità di eleganza, armonia, intensità, nobiltà, maturità, e così via). Se ci si limita al valore edonistico della piacevolezza sensibile, allora risulta valida la famosa massima: “de gustibus non est disputandum”.
Infatti, se per apprezzamento di gusto s’intende qualcosa di essenzialmente soggettivo, individuale, singolare, allora non si può negare che la valutazione del singolo sia immediatamente valore e non già possa essere conoscitiva di un valore fondato nell’oggetto. Ma chi, oltre a questo valore edonistico non veda nient’altro in un vino, o più in generale in un oggetto alimentare, potrebbe a ragione essere accusato di una speciale cecità ai valori, in particolare ai valori estetici.

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