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ESCLUSIVA: WINENEWS INCONTRA RICHARD PARSONS, AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA AOL TIME WARNER E PRODUTTORE DI BRUNELLO DI MONTALCINO PER HOBBY. UNA PIACEVOLE CONVERSAZIONE SU VINO E DINTORNI CON UNO DEI MANAGER PIÚ POTENTI DEL MONDO

Italia
Richard Parsons, ad della Aol Time Warner, che WineNews ha intervistato in esclusiva

A incontrarlo seduto a uno dei tavoli della storica Fiaschetteria di Montalcino, Richard Parsons potrebbe sembrare uno dei tanti turisti statunitensi di passaggio nella capitale del Brunello, innamorati della Toscana come la maggior parte dei loro connazionali. E invece questo altissimo e sorridente sessantenne afro-americano, che indossa con disinvoltura jeans e cappellino da baseball, è uno dei manager più potenti e temuti del mondo. Amministratore delegato della Aol Time Warner, gigante americano dei media, controlla con il suo gruppo marchi del calibro di Warner Bros, HBO, CNN, Time inc., New Line Cinema, America on Line. Proprio a Montalcino Parsons ha acquistato Il Palazzone, in società con il manager svizzero Mario Bollag, una tenuta di 3 ettari che produce ogni anno 4.000 bottiglie. WineNews lo incontra in esclusiva per una chiacchierata su vino e dintorni: Parsons non ama giornalisti e telecamere (saturazione professionale?) e in questo suo breve viaggio in Italia ha concesso unicamente al nostro sito un’intervista sulla sua attività di “viticoltore” per hobby. E’ strano pensare che un businessman di New York, con conoscenze e possibilità tali da potersi permettere investimenti nei più famosi territori del vino del mondo (dalla Francia alla California, dal Sudafrica all’Australia) abbia scelto come “buen retiro” un piccolo angolo della Toscana ed una etichetta poco conosciuta. Perché proprio Montalcino, Mr. Parsons? “In primo luogo perché amo moltissimo l’Italia: le persone, il cibo, e naturalmente anche il vino. La Toscana poi è uno dei più bei posti al mondo: se chiedi a chiunque dove vorrebbe vivere nel 90% dei casi risponderà la Toscana. Arrivando qui ho cominciato la mia ricerca di una tenuta da acquistare partendo da Lucca, poi sono passato per Firenze ed il Chianti, arrivando infine a Montalcino. E qui ho finalmente trovato quello che cercavo”. Che rapporto ha con il vino? “Lo amo molto, in particolare i miei vini preferiti sono in assoluto i rossi italiani. E tra questi il mio preferito è il Brunello. Ecco perché ho acquistato questa tenuta a Montalcino al motto “Beviamo tutto quello che possiamo, e vendiamo il resto!”. Ho iniziato a conoscere ed apprezzare il vino grazie agli insegnamenti di un maestro d’eccezione, Nelson Rockfeller, per cui lavoravo. Lui, che è stato ovviamente anche il mio mentore professionale, amava in particolare i francesi, soprattutto i Bordeaux. Io invece preferisco gli italiani, anche perché ritengo che i francesi siano diventati troppo costosi. Certo, a pensarci bene Rockfeller non aveva problemi di prezzo…”. E nella sua cantina personale a New York quali vini custodisce? “Molti italiani, appunto: oltre al Brunello adoro i Supertuscan, soprattutto il Sassicaia e il Solaia, che ritengo eccezionali. Ma apprezzo anche il Chianti Classico e il Cannonau di Sardegna, mentre mia moglie Laura ama soprattutto l’Amarone. Tra gli americani prediligo alcuni Cabernet.”. Quando è negli Stati Uniti le manca la campagna toscana? “Assolutamente si. Per uno come me, che vive e lavora nel rumore e nel caos di New York, passare alcuni giorni qui in mezzo al silenzio, circondato da queste splendide colline, è un sogno. Vengo a Montalcino almeno una volta all’anno, e sempre per la vendemmia, che seguo personalmente. Mi rilassa molto”. Sappiamo che una parte del suo Brunello è destinata agli amici. Può dirci a quali personaggi famosi lo ha regalato? “Tra i tanti posso citare Quincy Jones, Bono degli U2, Naomi Campbell, il vice presidente Dick Cheaney, oltre a molti membri del Congresso a Washington. Devo dire che tutti lo hanno apprezzato moltissimo. In Italia ne ho fatto dono a Silvio Berlusconi e allo stilista Massimo Ferragamo. Pensate che ad una cena di grandi manager miei amici, che ogni anno organizzano un tasting di etichette top, da Cheval Blanc a Chateau Petrus, il mio Brunello Riserva 1999 Il Palazzone è risultato il migliore all’unanimità… Una grande soddisfazione”. Crede che ci sia un limite, anche mentale, per i prezzi dei vini? “No, non credo. Il vino è come l’arte, è il mercato che fa i prezzi, che a volte raggiungono livelli stratosferici. E come per l’arte, anche il vino è considerato da molti un oggetto da collezione. Io invece preferisco berlo”. Lei è un grande esperto di comunicazione: attraverso il suo gruppo si occupa di televisione, cinema, editoria, musica, internet. Qual è a suo parere l’immagine del vino italiano nel mondo? “Ritengo che il vino italiano stia ancora attraversando una fase di transizione: negli anni ’70 la sua immagine era legata alla quantità, più che alla qualità, si comprava ancora il vino nei fiaschi. Negli anni ’80 e ’90 è cominciata la fase di espansione, anche grazie alla notorietà di alcune denominazioni come Brunello, Barolo e Barbaresco - senza dimenticare i più famosi Supertuscan - che hanno contribuito ad innalzare e promuovere l’immagine del vino italiano nel mondo. Adesso però è assolutamente importante far conoscere negli altri Paesi, in particolare negli Stati Uniti, che sono il principale mercato di riferimento del vino italiano, anche le denominazioni e i territori meno famosi. Infatti nessuno in America ha la minima idea di cosa siano i vini siciliani, o pugliesi. Eppure in queste regioni se ne producono di ottimi. Ecco, credo che il vino italiano debba puntare a far conoscere le sue produzioni meno celebri, oltre a quelle ormai universalmente note". E quali sono secondo lei gli strumenti e le azioni per promuoverlo al meglio negli Usa? “Gli italiani devono capire che il mercato americano si divide in due livelli: il premium market, ovvero la fascia più alta, in cui gli italiani competono con i francesi, e il mass market, la fascia più bassa, in cui gli italiani hanno come competitor molto agguerriti gli australiani e naturalmente gli stessi americani. Nella fascia alta gli italiani stanno muovendosi molto bene, anche grazie al grande successo dell’italian style negli Usa: cibo, moda, design. Per questo target conta molto l’immagine, la presenza nelle liste dei vini dei migliori ristoranti italiani (che ora stanno andando di gran moda), l’utilizzo di testimonial famosi che bevendo certe etichette fanno loro automaticamente pubblicità. Gli americani infatti seguono molto i trend lanciati dalle celebrities. Riguardo a questo segmento sono molto ottimista, penso che italiani possano battere agevolmente i francesi. Invece nella fascia di mercato più bassa la questione si complica. Qui conta il fattore prezzo, ma soprattutto la promozione del marchio. Gli australiani negli ultimi anni stanno facendo enormi campagne pubblicitarie: cito l’esempio dell’etichetta Yellow Tail, che da sola investe in comunicazione più di tutte le aziende del vino italiano messe insieme. In questo segmento è fondamentale muoversi con pubblicità su riviste e televisioni e soprattutto con azioni dirette al consumatore, dai cartelloni ai volantini, fino alle promozioni nei supermercati. Da questo punto di vista l’Italia è completamente assente. L’unico esempio che ho visto è stata l’ottima campagna pubblicitaria di Santa Margherita, che per questo è un marchio abbastanza conosciuto negli Usa”. Deve tener presente che le aziende italiane hanno mediamente piccole dimensioni, e quindi non dispongono delle risorse economiche per investimenti così ingenti… “Allora i piccoli produttori devono unire le proprie forze e fare massa: non c’è altro modo per conquistare un mercato così grande come quello statunitense. Qui il consumatore ha una miriade di scelte a disposizione e deve essere guidato. Come ho già detto l’unica via è puntare sulle regioni e sulle denominazioni italiane meno conosciute e meno costose. Se io dico Bordeaux negli Stati Uniti tutti sanno a cosa mi riferisco, anche se non conoscono le singole aziende. Invece se parlo di vini pugliesi nessuno ha idea di cosa siano. Facendoli conoscere con campagne mirate si semplifica e si orienta la scelta del consumatore”. Che ne pensa dei Paesi emergenti, come la Cina? “Credo che sia a livello di consumi, sia a livello di produzione, c’è ancora molto da aspettare. Solo nella grandi città come Shangai si comincia a bere vino, mentre nel resto del Paese nessuno sa cosa sia. Certo è importante cominciare pian piano ad educare il loro gusto e a far conoscere determinati marchi, ma occorreranno molti anni prima di poter considerare la Cina un mercato di riferimento”. Ci sono nuovi progetti in vista per la sua tenuta? “Si, a febbraio 2007 lanceremo un nuovo vino, un grande Supertuscan, che nasce da una collaborazione tra Il Palazzone e Tenuta Terra al Sole, del mio amico e socio Mario Bollag. Sarà un uvaggio di Cabernet Franc e Sangiovese che si chiamerà “Lorenzo e Isabella”, dal nome dei miei genitori. Ne usciranno 13.000 bottiglie, destinate per metà agli Stati Uniti e per metà al mercato europeo”. E siamo pronti a scommettere che anche questa etichetta di “Mister Time Warner” finirà presto nel bicchiere di qualche vip …

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