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GIANLUCA BISOL: “IL GOVERNO DIFENDA IL PROSECCO”. IL FAMOSO PRODUTTORE SPIEGA A WINENEWS: “IN GIOCO C’È UN PATRIMONIO, NON SOLO ENOLOGICO MA STORICO E CULTURALE DA DIFENDERE”

Bisol
Gianluca Bisol

Non chiede aiuti finanziari né favoritismi o protezioni nazionalistiche ma rispetto delle leggi tra partner comunitari. È Gianluca Bisol, general manager dell’azienda di famiglia che da cinque secoli, la fondazione risale al 1542, è custode della tradizione del Prosecco italiano che, dal 1969, si pregia del marchio doc. 50 ettari, dislocati su 16 poderi, sulle colline che si estendono da Valdobbiadene verso Conegliano, culla naturale di quello che è considerata la più convincente risposta del “made in Italy” allo champagne francese. Di fatto il Prosecco, ed in particolare quello doc ormai conosciuto in tutto il mondo, è un patrimonio non solo enologico ma storico e culturale da difendere. A maggior ragione quando è vittima di un “attacco scorretto”: infatti, mentre è allo studio in Germania (dove ormai il Prosecco è una bevanda cult, immancabile in ogni party che si rispetti) un provvedimento legislativo che punta alla liberalizzazione del nome che consentirà di realizzarlo e commercializzarlo “tagliando” qualsiasi vino da tavola italiano, l’aggressione è già una realtà con chi presenta il prosecco ai consumatori in lattina o cartone. Gianluca Bisol, la tradizione del Prosecco sta correndo qualche pericolo?
“Non c’è dubbio - spiega Bisol - al di là dell’iniziativa legislativa tedesca, sul mercato opera già la Rich, un’azienda austro-tedesca, che acquista in Veneto vino sfuso in cisterna per poi, dopo averlo tagliato, lanciarlo sul mercato in lattina contravvenendo, aggirandola, la legge italiana che lo vieta”.
Ma il destino di queste lattine e cartoni di prosecco è quello di soddisfare solo il mercato austro-tedesco?
“No, il danno, soprattutto d’immagine alla qualità del prodotto, cresce esponenzialmente visto che le esportazioni raggiungono il mercato americano”.
C’è bisogno di correre ai ripari coinvolgendo la politica?
“Non vedo altra strada, al Governo italiano chiediamo un intervento a livello europeo che salvaguardi pari dignità e rispetto reciproco nel campo enologico. Non vogliamo protezione ma che le leggi italiane valgano per chiunque tratti e commerci nostri prodotti. E poi, in particolare, maggiore attenzione alla tutela della qualità dovrebbe essere garantita dai nostri partner europei”.
Si parla di tradizione ma il giro d’affari del Prosecco italiano è di tutto rispetto, si sbaglia a sostenere che è una realtà più che affermata?
“In Italia il Prosecco è lo spumante più esportato in assoluto, unico vero competitore dello Champagne francese e del Cava spagnolo. Negli ultimi 37 anni parlando solo del Prosecco doc, con le uve delle nostre colline più ripide che garantiscono una qualità superiore, siamo passati da cinque milioni di bottiglie a 45 milioni. Se poi sommiamo anche il Prosecco non doc con l’uva della pianura, dobbiamo aggiungere altre 100 milioni di bottiglie”.
Quante restano in Italia e quante prendono la strada del confine?
“Sul totale del Prosecco doc il 35% viene esportato, il 7% negli Usa il resto sul mercato europeo ed una piccola parte in oriente. Il trend di crescita è così elevato che, da qui a dieci anni, potrebbe diventare uno degli spumanti più bevuti sul pianeta”.
Che impatto occupazionale ha questa performance?
“I produttori impegnati sono 150, 3.500 sono le aziende agricole coinvolte con oltre 10 mila dipendenti”.

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