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EXPORT WINE & FOOD

Il made in Italy agroalimentare in Giappone: numeri in (timida) crescita, vino a +4% all'anno

I dati sul mercato giapponese negli ultimi 10 anni, nel Focus Nomisma Agrifood Monitor
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Millennials Sperimentatori, valgono il 36% del mercato giapponese de vino

Il Giappone è il quinto mercato al mondo per l’import di prodotti agroalimentari, con un valore complessivo di 57 miliardi. In questa vasta economia il made in Italy occupa uno spazio complessivo dell’1,5%. Sono i numeri che emergono dal Focus Nomisma Agrifood Monitor e che analizzano l’andamento dell’agroalimentare italiano nel Paese del Sol Levante durante gli ultimi 10 anni.
Cifre in espansione con una crescita che si assesta sul 4% annuo per quanto riguarda il vino italiano, sul 5,9% per i formaggi e sul 7,5% per l’olio d’oliva. I principali paesi concorrenti dell’Italia sono Usa, Australia e i paesi asiatici. Anche i primi mesi del 2019 evidenziano un trend di crescita, con un primo quadrimestre che segna un +13% sullo stesso periodo dell’anno precedente.

Ma la speranza di crescita per l’agroalimentare italiano è sostentata dal recente accordo tra Giappone e Ue, firmato il 1 febbraio, e sancisce l’abbattimento dei dazi e delle barriere non tariffarie.
Una popolazione doppia rispetto a quella italiana e un Pil pro-capite superiore del 10%, i numeri del Giappone sono significativi per costruire l’appeal di un mercato di importazioni Food & Beverage in cui ancora l’Italia ha da giocare un ruolo di peso maggiore. Nell’ultimo decennio, comunque, il valore degli acquisti dal Bel Paese è cresciuto da 537 milioni di euro a 865, con una crescita superiore al 50%.
“Sebbene il Giappone pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la rilevanza di questo mercato è molto più strategica per alcuni prodotti, sia oggi che in prospettiva. Basti pensare all’olio d’oliva, dove il paese del Sol Levante incide per il 7% sull’export di questo prodotto del Made in Italy e arriva al 17% nel caso degli olii esportati dal Sud Italia” dichiara Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma.
Tra tutti i mercati di destinazione dell’olio extravergine di oliva italiano, il Giappone assieme alla Svizzera rappresentano i paesi con il prezzo medio all’export più alto (rispettivamente 5,6 e 6 euro/kg) contro una media mondo pari a 5 euro/kg. Ma anche per quanto riguarda i formaggi, l’Italia presenta il posizionamento di prezzo più alto su questo mercato rispetto a tutti i diretti competitor (7,64 euro/kg di prezzo medio all’import contro 3,62 euro dell’Australia o 3,97 euro degli Usa).
La chiave dello sviluppo per le esportazioni italiane in Giappone è la percezione che il consumatore nipponico ha dei prodotti italiani. A tal proposito, Nomisma ha realizzato uno studio in merito.

“La survey che abbiamo realizzato su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese”, ha evidenziato Evita Gandini, Project Manager dell’Area agroalimentare di Nomisma.
Non tutti i consumatori, però, si dicono pronti ad acquistare ad occhi chiusi un nostro prodotto: la stragrande maggioranza dei giapponesi, infatti, è sensibile al prezzo e razionale nelle scelte di acquisto.

Si tratta dei “Tradizionalisti-cauti”, il gruppo individuato tramite la cluster analysis di Agrifood Monitor in cui ricade ben il 48% dei consumatori. Il secondo gruppo più numeroso è rappresentato dai “Millennials Sperimentatori” (36%), giovani dai 18 ai 38 anni, curiosi, aperti alle sono attratti dalla cultura occidentale e per questo la propensione all’acquisto di prodotti Made in Italy è più elevata della media.
“Ma il segmento più interessante per il nostro Made in Italy è rappresentato dai “Giramondo spensierati” (10% della popolazione): consumatori della Generation X (39-54 anni) con alta capacità di spesa, amano viaggiare e conoscere nuove culture. Internet, degustazioni, cooking show, abbinamento cibo-vino sono le parole chiave per conquistare questo tipo di consumatori” conclude Gandini.

“Nel settore agroalimentare come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. Molto spesso per una PMI entrare in un nuovo mercato significa sostenere investimenti economici e di tempo per gestire procedure doganali, attività fieristiche, di comunicazione e distribuzione. Essendo partner di oltre 15.000 aziende in Italia, possiamo affermare che le PMI che hanno maggior successo nell’export sono quelle che riescono ad accelerare la fase di ricerca degli importatori e distributori utilizzando i canali digitali ma anche riuscendo ad individuare, avvalendosi di servizi specializzati, i potenziali partner prima ancora di investire in trasferte e attività di promozione su mercati lontani” commenta Marco Preti, Amministratore Delegato di Cribis.
La spinta a crescere sul mercato nipponico comunque potrebbe arrivare dagli accordi tra Giappone e Unione Europea che porteranno, da subito, per circa il 90% delle importazioni Ue all’azzeramento dei dazi (e delle altre barriere non tariffarie) vigenti sui prodotti agroalimentari europei. Dazi che per alcuni prodotti bandiera del Made in Italy come il vino, la pasta e i formaggi vanno dal 15% al 40%.

Dati approfonditi nel Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e Crif oggi al Palazzo di Varignana a Castel San Pietro Terme, con la partecipazione, tra gli altri, dell’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone, di Paolo De Castro, europarlamentare, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, Daniele Salvagno, presidente di Redoro Frantoi Veneti, Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd e Miciyo Yamada, giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese.

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