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Il sonno della ragione genera mostre
di Guardiacampo

Come si fa a non essere contenti? Quando le cose di cui ti occupi nella vita sono al top della popolarità e del successo, non resta (specie se riguardano il mondo del vino) che alzare un calice e brindare. Eppure ... Eppure, non stupitevi troppo se un piccolo tarlo (e neanche tanto piccolo) di dubbio, quando ‘stò successo, dopo anni di semiclandestinità, diventa una roba da Guerre Stellari, comincia ad aleggiare in menti contorte e sospettose - si fa per dire - come quella di chi scrive. Non è - questo è il dubbio - che di troppo successo si possa anche soffocare? Non è che arrivati faticosamente in cima alla piramide si rischi ora, per eccesso d’entusiasmo, di scivolare giù a tutta birra dalla parte opposta?
Sono due i fattori - gli indizi - che mi hanno indotto a qualche riflessione di questo tipo. Il primo, è il bagno mediatico, la jacuzzi dei passaggi in tivù e dei pezzi sui patinati di ogni tipo, in una parola quella che un’accorta agenzia d’immagine definirebbe: sovraesposizione. L’altro, il secondo indizio, nasce da una rapida scorsa al calendario. Che, per andar bene, dovrebbe essere fatto di 730 giorni all’anno, con tre-quattro mesi (aprile, maggio, giugno, ottobre, novembre, pescate voi a caso) di almeno 90 giorni l’uno.

Ma andiamo per ordine. Cioè, dal sintomo numero uno. Chi scrive l’ha sentito manifestarsi qualche tempo fa nell’ormai celebre puntata di “Porta a porta”. Dedicata al vino. Fino ad allora (diciamocelo) come i tifosi di certi sport un tempo minori e poi divenuti importanti a furia di vittorie della Nazionale (che so, la pallavolo prima dell’era di Velasco) ogni santa volta che in tivù, specie sui canali blindati di mamma Rai, si parlava di vino, per tutti noi della conventicola, del club dei pionieri e degli appassionati, passava comunque un fremito di soddisfazione. Dopo quel “Porta a porta” lì, un rapido (ed ampio) giro d’opinioni ha invece, subdolamente, evidenziato un senso, generalizzato o quasi, di ... fastidio. Il sentimento medio era: ma è modo questo di parlare di vino in prime time? Un curioso, ma netto, distacco dai vecchi tempi di: parlatene come volete, purché se ne parli. In un certo senso, un segno di maturità. Ma al tempo stesso anche di apprensione: che, cioè, l’allegro cinismo dei media non scassi il giocattolo costruito con tanta fatica, santificando, al solito, una moda, per poi scaricarla brutalmente in cambio della successiva.

E ora veniamo al calendario. Per innescarci su la seguente riflessione. Come meravigliarci di questa a volte corriva inondazione di chiacchiere, se poi siamo noi stessi a innescarla? Ad oggi, e contando solo quelli di un certo rilievo, il carnet 2002 prevede circa quattrocento eventi legati al vino, o su di esso imperniati. Ciascuno della durata media di due giorni. Dappertutto, dalle Alpi alle Piramidi, e dal Manzanarre al Reno. Il che è un altro buon segno, e testimonia che tutta l’Italia da vigna s’è desta, e si batte leoninamente per un posto al sole. Ma qui, ragazzi, si esagera. Neanche se i giornali aprissero redazioni apposta (e in genere invece il vino è affidato a un one man band, ancora, spesso, esterno alla redazione) ce la farebbero più a star dietro a tutto. E gli addetti ai lavori più “intimi” dovrebbero avere sette vite come i gatti, per far tutto. L’eccesso è trasversale e verticale. Nel senso che è spaventoso per quanto riguarda le piccole manifestazioni spontanee; ma non è da meno anche per manifestazioni di medio calibro, che si sovrappongono allegramente nella stessa regione (dove nessuno controlla uno straccio di nulla) e addirittura nella stessa area, dove magari convivono (armi in spalla e sacchi di sabbia alla frontiera) due diversi consorzi legati a denominazioni limitrofe. Non c’è neanche un giorno libero, per l’eno-nomade, nemmeno per andare a portare (volendo) un fiore a camposanto per i Morti.

E finché si parla di taster o comunicatori, passi pure. Ma i produttori, in tutto questo, a chi dovranno dare i resti? Dovranno fabbricarsi stand mobili su roulotte? E, avendo spesso le idee non troppo chiare (i “deb” del filare si moltiplicano, in questi ultimi anni) sceglieranno bene, e saranno messi in condizione di farlo? O diverranno dei dubbiosi, pentiti, forzati delle fiere, fierine e fierucce o degli eventi, eventini e eventucci?

Attenzione, ragazzi: un rebound forte, un contraccolpo adesso, non farebbe bene a nessuno. Occhio, allora, che da mostre non ci si trasformi in mostri... per eccesso di appetito.

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