Nella acque del mare c’è sempre più vino. Perchè quella dell’affinamento delle bottiglie, di spumanti soprattutto, ma non solo, nelle profondità del mare, è una pratica che fa tendenza. Si parla di nicchie, chiaramente, spesso quasi di esperimenti, ma non più di una rarità. In Italia sono diverse le esperienze in questo senso, dallo spumante Abissi della cantina ligure Bisson, alla Cantina Santa Maria La Palma di Alghero, che sotto al mare affina il Vermentino, dalla Tenuta del Paguro (Ravenna), che sperimenta con Sangiovese ed Albana, ad Emanuele Kottakis, che con Jamin affina Champagne nelle acque di Portofino, al progetto dell’Azienda Agricola Arrighi sull’Isola d’Elba sul “Nesos, il vino marino”, un esperimento scientifico che riporta indietro nel tempo, alle imprese enologiche dei Greci dell’isola di Chio. E, ancora in Grecia, per esempio, affina parte dei suoi vini la celebre cantina Gaia Wines, o ancora in Spagna, lungo la costa basca, c’è l’esperienza della Crusoe Treasure, o ancora, in Croazia, quella di Edivo Vino, che affina il vino nelle anfore immerse nelle acque del mare. Una pratica che, tra storia, sperimentazione e “storytelling”, sta conquistando sempre di più anche i produttori di Champagne, da brand come Veuve Cliquot, con il programma “Cellar in the Sea”, alla maison Drappier, da Leclerc Briant a Frèrejean Frères, che hanno aderito al progetto Amphoris a Brest, ideato da Denis Drouin, ingegnere specializzato in lavori offshore e subacquei, a largo dell’isola bretone di Ouessant, come riportato sulle pagine dedicate al vino del quotidiano francese “Le Figaro”.
Alla base di tutte queste esperienze la convinzione, diffusa, che il fondo del mare rappresenti un ambiente ideale per l’affinamento dei vini, grazie a temperature costanti e assenza di luce. Una visione che, però, non convince appieno uno dei più importanti enologi della spumantistica italiana (e non solo), ovvero Mattia Vezzola, firma delle bollicine di Bellavista, in Franciacorta, e produttore in proprio con Costaripa, in Valtenesi. “Partiamo da un presupposto: il silenzio e l’assenza dalle vibrazioni sono fondamentale - spiega a WineNews - per l’invecchiamento di tutti i vini, oltre alla temperatura costante, tanto è vero che un tempo le bottiglie si mettevano sotto alla sabbia per mantenere la temperatura costante e anche per evitare i rumori e le vibrazioni delle strade. Alcuni di questi vini gli ho assaggiati, e sono davvero buoni ed interessanti, ma credo che la perfezione di condizioni, ed il loro controllo, che si può raggiungere in una cantina, siano ancora meglio. Ciò detto, quello di affinare il vino in fondo al mare, è un percorso che si può anche fare, anche se c’è il tema delle correnti marine, che non sono ideali per la stabilità del vino, e poi credo che anche la temperatura non sia poi così costante. Comunque è una pratica da indagare, e poi crea comunque un certo fascino, con quel tocco di mistero che il fondo del mare suscita, e che comunque è una componente importante nel mondo del vino”.
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