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IN ITALIA GIACENZE PER 39 MILIONI DI ETTOLITRI MENTRE SULLA SCENA SI AGGIUNGONO COMPETITOR COME SPAGNA E PORTOGALLO. EXPORT IN RIPRESA, MERCATO TRAINATO DAI BIANCHI. MA I ROSSI PERDONO TERRENO E LA DOMANDA INTERNA E' CALATA DEL 21% NEGLI ULTIMI ANNI

Italia
C'è aria di crisi nelle cantine italiane

Lo sapevate che le attuali giacenze di vino hanno ormai raggiunto quota 39 milioni di ettolitri, quasi pari alla vendemmia del 2003 che dette una produzione di 44 milioni di ettolitri? Lo sapevate che oltre all’Australia, di cui si fa un grande parlare, ed alla Francia, da sempre il nostro diretto rivale, ci sono due competitori europei particolarmente agguerriti e in crescita - la Spagna e il Portogallo - che erodono sempre più consistenti quote di mercato? Lo sapevate che, negli ultimi 10 anni, il 75% dei nuovi vitigni piantati in Italia sono a bacca rossa, ma è il vino bianco, anche per il suo costo più contenuto, a dominare il mercato? Lo sapevate che il re del nostro export negli Usa è diventato il Pinot Grigio? Lo sapevate che i vini da tavola rossi e Igt sono sempre più richiesti, mentre perdono terreno le denominazioni di origine?

Sono queste alcune delle principali, ma molto più numerose ed emblematiche, indicazioni emerse oggi a Firenze nel convegno, organizzato, sotto l’egida di Franco Scaramuzzi, dall’Accademia dei Georgofili e dall’Accademia Italiana della Vite e del Vino su “Problemi attuali, prospettive globali e scelte strategiche per le produzioni vinicole”.

Era stato definito un gran consulto al capezzale del vino e tale, alla fine, è stato grazie al concorso di quattro professori universitari superesperti del settore. La prognosi, va detto subito, non è stata infausta: il vino italiano, pur attraversando un difficile guado di carattere strutturale e non congiunturale, può recuperare e tornare a crescere. Certamente ad alcune precise condizioni. La prima è che il Governo del nostro Paese e i produttori più strutturati dedichino energie e investimenti sostanziosi alla promozione dei nostri prodotti. “Marketing, marketing e ancora marketing - testuale e voluta dai relatori la triplicazione del concetto - la prima medicina per il vigneto Italia, funzionale a esaltare la qualità delle bottiglie tricolore in uno con il legame indissolubile con i territori di produzione, l’ambiente, la storia, la cultura, l’arte che devono saper evocare. Il tutto unito ad una attenta analisi dei modelli di consumo".

Guardando ai dati, buone notizie giungono dall’export che, nel primo semestre, guadagnano il 10% in volume e 5% in valore rispetto al 2003. Da contro altare, si registra una contrazione della domanda interna del 21% negli ultimi anni. Ma a preoccupare i superesperti sul futuro del vino sono anche le catene commerciali e i metodi distributivi superati, le pesantezze normative, uniti al “nanismo” aziendale che affligge la filiera vitivinicola italiana è visibile nella frammentazione della produzione, sia tra 700 cantine industriali e 500 cantine sociali, sia anche fra 36.000 cantine artigianali (sotto i 500 ettolitri)
e 2.400 cantine agricole più professionali. La stessa frammentazione, si fa notare, riguarda il sistema di commercializzazione e di distribuzione basati, peraltro, su schemi ottocenteschi. Altro elemento fatto notare è che 60.000 ettari di vigneti sono di imprese che hanno meno di due ettari, con impianti che risalgono a 30 anni fa e una gestione affidata ad imprenditori che hanno più di 60 anni.

Altro tema delicato è quello del caro-prezzi: anche l’Euro ha le sue colpe - ha spiegato il professor Davide Gaeta dell’Università di Milano - e poi c’èchi, fra commercianti e produttori, ha voluto fare il colpo del secolo approfittando dell’introduzione della moneta unica. Ma l’Euro è stato come una bomba atomica per il settore vinicolo ed i prezzi sono schizzati alle stelle”.

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