Che l’industria alimentare sia uno dei pilastri dell’economia italiana, espressione di un valore di filiera superiore ai 140 miliardi di euro, è un dato assodato. Eppure, sono tanti gli aspetti interessanti che emergono da “Industria alimentare italiana: cuore del made in Italy”, rapporto firmato dalla Luiss, di scena oggi a Roma, negli “stati generali” del settore convocati da Federalimentare. Da cui, per esempio, emerge che per numero di imprese (56.750), il settore sia il secondo in assoluto in Italia, dietro solo alla fabbricazione di prodotti in metallo, e terzo per valore aggiunto. E in Europa, l’industria alimentare italiana si inquadra come secondo player, dopo la Francia, per numero di imprese, terzo (dopo Francia e Germania) per numero di occupati (385.000 nel 2018 i dipendenti, secondo le proiezioni di Federalimentare) e quinto (dopo Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) per valore aggiunto generato. Una ricchezza decisamente “diffusa”, dal momento che sole 14.000 imprese sondate dal rapporto, hanno speso 11,4 miliardi di euro per costi del personale, 21,6 per l’acquisto di servizi, 74,2 per le materie prime, sviluppando un utile netto 3,4 miliardi di euro, e versando imposte per 1,4 miliardi di euro.
E dall’analisi, in un settore fatto nella grande maggioranza da micro e piccole imprese, emerge che le performance migliori non sono ne appannaggio di queste ne delle grandi imprese, ma di quelle medie, che tra il 2007 ed il 2016 hanno visto una crescita delle esportazioni (+79,6%), del valore aggiunto (+46,7%), del totale attivo (+41,9%) e del fatturato (+38,9% ). Anche se, va sottolineato, le sole prime 100 aziende, in termini di grandezza sviluppano un fatturato di 41 miliardi di euro (il 30% del settore). In questo quadro, dal rapporto emerge, ancora una volta, che l’elemento maggiore di competitività, per le imprese italiane, si la maggiore qualità dell’offerta rispetto ai competitori stranieri,soprattutto nei mercati esteri, dove emerge, in generale la disponibilità a pagare un prezzo ben superiore dei prodotti concorrenti, sia locali sia di altri Paesi.
Tuttavia, le nostre produzioni si trovano ad affrontare una forte pressione competitiva da due fronti: dal basso, dall’offerta di attori di grandissime dimensioni con forte vantaggio di produttività e costi, in grado di collocare sul mercato prodotti di standard comunque accettabili, ma con prezzi inferiori. In secondo luogo, sulla stessa fascia di mercato, da altre grandi imprese internazionali che attuano una strategia di differenziazione, sfruttando elevate capacità di comunicazione e distribuzione e riuscendo comunque a contenere i costi.
E in futuro, in Italia come in tutti i mercati più sviluppati, i produttori del Belpaese devono tenere conto dell’evoluzione del consumatore, che chiede sempre più sicurezza su quello che mangia, ma è sempre più attento a salute e benessere, e ricerca nel cibo, oltre che una sempre maggiore praticità, anche un alto valore esperienziale.
Ma per crescere ancora, come si dice da tempo, e come sottolinea anche il rapporto Luiss, il sistema alimentare italiano, che ha anche il primato assoluto dei prodotti Dop, Igp ed Stg a livello mondiale (oltre 800 prodotti sui 3.000 censiti e riconosciuti al livello planetario), ha bisogno del supporto istituzionale, che si muova soprattutto secondo 4 direttrici chiave, ovvero la migliore promozione nel mondo del sistema alimentare italiano, il rilancio dell’immagine complessiva del Paese, il sostegno al il miglioramento continuo della qualità assoluta dei prodotti, anche attraverso la ricerca, e facilitare la crescita dell’impresa e degli investimenti. Una crescita che, peraltro, passa anche da una sempre migliore integrazione tra agricoltura ed industria, e tra industria e distribuzione.
Quelli del rapporto “sono dati che mostrano un miracolo tutto italiano: quello del saper fare delle nostre aziende - ha detto il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio - dai top player alle Pmi, che trasformano le materie prime italiane e straniere in un prodotto lavorato e richiesto in tutto il mondo. Dobbiamo costruire chance per raggiungere quei mercati che oggi non possediamo o rafforzare quelli in cui siamo entrati. In entrambi i casi non possiamo essere lasciati soli dalla politica. L’interazione tra il sistema delle imprese e le istituzioni è fondamentale e l’incontro di oggi è un auspicio in questo senso, a nome di tutta l’industria alimentare, a fronte di uno scenario politico ed economico difficile, tra dazi Usa e Brexit, che rischia di minare le esportazioni. Alla politica chiediamo di mettere in atto azioni volte a valorizzare i nostri prodotti e di contrastare chi squalifica l’industria.Con una situazione interna più stabile e un aiuto sull’estero, l’industria alimentare diventerà un player finalmente in grado di guadagnarsi il ruolo di leader internazionale della qualità”.
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