Che anche il più ostinato degli astemi avrebbe sicuramente mille cose da fare e da vedere (nonché su cui meditare) una volta messo piede in questa struttura, è fatto risaputo. Visto che trattasi, innanzitutto, di un’abbazia monumentale, risalente al 1142, che nel corso dei secoli (come un po’ tutte le case monastiche) non ha poi mai mancato di dedicarsi anche al vino, coniugando al meglio il suo messaggio divinatorio al piacere della convivialità, al giusto approccio nutrizionale e alla necessaria esigenza di far quadrare i conti. Mura silenziose e di grande suggestione, una biblioteca amplissima, una chiesa d’incanto, dei giardini da paradiso terrestre: come avrebbe mai potuto uscire un vino deludente da questi luoghi, e con tali presupposti, pur con le molteplici difficoltà storiche succedutesi nell’arco del tempo? Ancor oggi che la cantina opera sui venticinque ettari di proprietà (in alcuni picchi capaci di toccare i novecento metri d’altezza) per poter permettere a Celestino Lucin, enologo qui da più di vent’anni, di poter trasformare al meglio i frutti a disposizione, e nonostante le centinaia di migliaia di bottiglie commercializzate, la qualità non è mai in discussione per entrambe le linee produttive, Classica e Praepositus: dalla prima delle quali arriva questo fresco Kerner, dai rimandi floreali, di pesca e di albicocca, e con palato sapido, dinamico e persistente.
(Fabio Turchetti)
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