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“L’Expo 2015 dovrà essere un contenitore di tematiche grandi. Il pericolo è che sia solamente l’occasione strumentale per parlare e promuovere il cibo come merce …”: la lettera-richiamo di Carlo Petrini (Slow Food), Don Ciotti e il regista Olmi

Non Solo Vino
Carlo Petrini e Don Ciotti

“L’Expo 2015 dovrà essere un contenitore di tematiche grandi ed importanti, una straordinaria occasione per una ritrovata consapevolezza della Terra che ci nutre. Il pericolo, tuttora reale, è, invece, che l’esposizione universale sia solamente l’occasione strumentale per parlare e promuovere il cibo come merce, senza affrontare concretamente questo argomento e le sue innumerevoli implicazioni. È ormai senso comune ritenere che il cibo sia parte costitutiva del processo evolutivo dell’uomo e la capacità di condividere questa risorsa di vita sia la misura del nostro farsi di umanità”: è questo il richiamo forte, elevato oggi, dal Salone del Gusto e Terra Madre, da tre uomini importanti del nostro Paese: il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, Don Ciotti, l’anima di Libera, e il regista Ermanno Olmi.
“La povertà, la miseria dei disperati, non sono calamità, fatalità o un prezzo da pagare ad una malintesa idea di “sviluppo”. Sono, invece, il frutto di scelte che hanno svuotato - dicono Petrini, Don Ciotti e Olmi - la politica della sua anima sociale, cioè della sua principale responsabilità, uniformandola a logiche economiche che tanto badano ad accumulare profitti quanto poco a suddividerli con un minimo senso di equità”.
I “tre amici” (come si sono voluti definire) hanno voluto insomma “aprire un dibattito collettivo non più moralmente rinviabile. Vorremmo insieme ad altri mettere a dimora un seme che possa crescere rigoglioso: il seme del buon senso e della dignità di ogni abitante della nostra casa comune: la terra. Vorremmo lavorare con l’energia della nostra e vostra anima, di chi ha voglia di fare un po’ di strada insieme che possa cambiare in meglio e per sempre a rendere le parole “nutrire il pianeta, energia per la vita” una realtà per tutti. A partire dai contadini, custodi fedeli dei campi coltivati, della fertilità delle zolle, migliorando i frutti, migliorando noi nel saperli ascoltare”.
“Questa utopica sfida ci viene - recitano nella loro lettera Petrini, Don Ciotti e Olmi - da un lontano passato e occorre fare qualcosa di definitivo e importante per debellare la fame e la malnutrizione nel mondo, un’indegna vergogna che affligge più di 1 miliardo di umani e che non è più tollerabile. La fame non è una fatale calamità che ha colpito qualche nostro fratello per cui ci si può limitare a provare dispiacere: la fame e la malnutrizione sono anche colpa nostra e ne siamo in qualche modo responsabili perché ci sono tutte le possibilità per eliminarle e invece continuano a mietere vittime, soprattutto tra i bambini ai quali non viene nemmeno garantito il diritto fondamentale ad un accesso a un cibo buono, salutare, sufficiente, giusto. Dobbiamo cambiare: possiamo ridurre il nostro spreco quotidiano, fermarci a riflettere su quanto buttiamo via, quanta ricchezza ed energia per la vita riusciamo a volte a bruciare in un amen. La biodiversità che si riduce a ritmi impressionanti, è un patrimonio irrinunciabile che va custodito e tutelato. Il suolo fertile che è insostituibile, sacro e in costante pericolo, è una risorsa che abbiamo il dovere di proteggere per garantire il diritto al cibo delle generazioni. Dobbiamo dunque superare questi problemi a partire dal bene più prezioso, indispensabile, che ci mette in diretta relazione con la natura, che può essere fonte di piacere, convivialità e condivisione: il cibo”.

Focus - Expo2015: la “lettera di richiamo” completa di Carlo Petrini, Don Ciotti ed Ermanno Olmi
“Il 1 maggio 2015 si inaugura a Milano l’Expo, un contenitore di tematiche grandi come l’universo: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Una straordinaria occasione per una ritrovata consapevolezza della Terra che ci nutre: questa dovrà essere la prima vocazione di Expo 2015.
Il pericolo tuttora reale è che l’esposizione universale sia solamente l’occasione strumentale per parlare e promuovere il cibo come merce, senza affrontare concretamente questo argomento e le sue innumerevoli implicazioni. È oramai senso comune ritenere che il cibo sia parte costitutiva del processo evolutivo dell’uomo e la capacità di condividere questa risorsa di vita sia la misura del nostro farsi di umanità.
Il Pianeta che ci ospita non sopporta più le nostre offese. Non si può rimanere passivi di fronte all’avvelenamento delle fonti di cibo provocato dalle spregiudicate economie globali che, per un falso concetto di modernità, giustificano ogni stoltezza. E non ci consola che oggi questi padroni del mondo guardino smarriti le rovine del loro stesso fallimento, incapaci di progettare altrimenti.
Oggi la fame che perseguita grandi parti di mondo, determina migrazioni epocali, bibliche. Il Mediterraneo ogni giorno è tomba di una disperata umanità che cerca di superare i confini visibili e invisibili che la privano del cibo quotidiano. Le madri che affidano a criminali scafisti le sorti di un bambino che forse non vedranno mai più, si separano dal proprio affettivo biologico, nella speranza che il figlio possa avere un giorno la certezza di mettere insieme il pranzo con la cena e che quel cibo che ora manca, sia finalmente condito di libertà e di democrazia.
A partire da queste dissonanze ormai intollerabili, nasce il nostro bisogno di lanciare un appello affinché l’Expo non si riduca a un’esposizione senz’anima, dove si enunciano vasti programmi e nobili intenzioni, mentre si tace sulla povertà e le ingiustizie che opprimono la vita di milioni di persone. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti di un sistema politico-economico che, a quasi settant’anni dalla “Dichiarazione universale dei diritti umani”, non solo non ha eliminato le ingiustizie ma le ha moltiplicate, nonostante gli studi più seri e documentati dicano che il nostro pianeta avrebbe tutte le risorse per garantire a ogni persona una vita dignitosa, non solo libera dai bisogni primari, ma garantita nei suoi diritti materiali, culturali, spirituali: la casa, il lavoro, l’istruzione, la salute.
La povertà, la miseria dei disperati, non sono calamità, fatalità o un prezzo da pagare a una malintesa idea di “sviluppo”. Sono invece il frutto di scelte che hanno svuotato la politica della sua anima sociale. Cioè della sua principale responsabilità - uniformandola a logiche economiche che tanto badano ad accumulare profitti quanto poco a suddividerli con un minimo senso di equità.
E da queste considerazioni che tre amici si sono ritrovati per aprire un dibattito collettivo non più moralmente rinviabile. Vorremmo insieme ad altri mettere a dimora un seme che possa crescere rigoglioso: il seme del buon senso e della dignità di ogni abitante della nostra casa comune: la terra. Vorremmo lavorare con l’energia della nostra e vostra anima, di chi ha voglia di fare un po’ di strada insieme che possa cambiare in meglio e per sempre a rendere le parole “nutrire il pianeta, energia per la vita” una realtà per tutti. A partire dai contadini, custodi fedeli dei campi coltivati, della fertilità delle zolle, migliorando i frutti, migliorando noi nel saperli ascoltare.
Questa utopica sfida ci viene da un lontano passato e occorre fare qualcosa di definitivo e importante per debellare la fame e la malnutrizione nel mondo, un’indegna vergogna che affligge più di un miliardo di umani e che non è più tollerabile. La fame non è una fatale calamità che ha colpito qualche nostro fratello per cui ci si può limitare a provare dispiacere: la fame e la malnutrizione sono anche colpa nostra e ne siamo in qualche modo responsabili perché ci sono tutte le possibilità per eliminarle e invece continuano a mietere vittime, soprattutto tra i bambini ai quali non viene nemmeno garantito il diritto fondamentale ad un accesso a un cibo buono, salutare, sufficiente, giusto. Dobbiamo cambiare: possiamo ridurre il nostro spreco quotidiano, fermarci a riflettere su quanto buttiamo via, quanta ricchezza ed energia per la vita riusciamo a volte a bruciare in un amen.
La biodiversità che si riduce a ritmi impressionanti, è un patrimonio irrinunciabile che va custodito e tutelato. Il suolo fertile che è insostituibile, sacro e in costante pericolo, è una risorsa che abbiamo il dovere di proteggere per garantire il diritto al cibo delle generazioni. Dobbiamo dunque superare questi problemi a partire dal bene più prezioso, indispensabile, che ci mette in diretta relazione con la natura, che può essere fonte di piacere, convivialità e condivisione: il cibo.
C’è un grande bisogno di speranza e noi dobbiamo esserne un segno visibile ricercando alleanze e fiducia, stupore e accoglienza reciproca. Speranza è la consapevolezza che solo unendo le forze degli onesti la richiesta di cambiamento diventa forza di cambiamento. Noi tre amici, intanto, uniamo le nostre energie e di tutti quelli come noi ci credono e cominciamo subito: solidali e senza alcuna enfasi, a partire dalle cose minute del nostro quotidiano. Ricominciamo dai nostri comportamenti nel fare le cose che sappiamo fare e farle sempre al meglio. E per questo, occorre un supplemento di anima. In questa visione ideale del mondo l’Expo deve diventare occasione per tutti gli uomini di buona volontà, per condividere il proprio cibo, con la coscienza che è anche e sempre quello degli altri. C’è un destino comune che ci attende e uniti acquisteremo coscienza di popolo, di un’unica umanità.
San Francesco, il poverello di Assisi, ci ha detto tutto con il suo Cantico delle creature. La sua contemplazione del Creato è un inno alla felicità: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

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