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La biodinamica applicata alla vigna e alla cantina: moda, rito new age o nuova frontiera? I produttori di "vini veri" d'Italia e di Francia
di Franco Pallini

Opinioni
La vendemmia, uno dei riti dell'uva

C’è chi li chiama “vini naturali”, con una definizione fuorviante, capace soltanto di generare l’equivoco della naturalità del vino (che non è una mela o una patata, ma un prodotto di trasformazione), e chi li definisce “vini veri”, forse in modo più preciso, ma ancora generalissimo, in contrapposizione alla maggior parte dei vini oggi presenti sul mercato, che, in misura maggiore o minore, dipendono dalla chimica. Sono quei vini, che, in modo talvolta generico e superficiale, rimandano alla biodinamica. Di questi tempi, infatti, tale metodica produttiva è diventata oggetto frequente di discussione e spesso argomento su cui molti ironizzano, primi fra tutti la gran parte dei tecnici, fondamentalmente scettici in quanto “scientifici” (cioè metodologicamente legati al rapporto causa-effetto), e che collegano superficialmente tale pratica ad un empirismo immediato che, nel bicchiere, si traduce in vini ossidati e instabili, cioè nel ritorno del “vino del contadino”, faticosamente allontanato dal panorama enologico, dopo anni di progressi tecnici.
L’identikit del viticultore biodinamico è caratterizzato, schematicamente, da una forte motivazione verso l’ampliamento dei parametri qualitativi che definiscono il quadro di riferimento di un vino, dimensioni aziendali tendenzialmente ridotte, decisa impronta personale a partire dalle caratteristiche del terroir di appartenenza, un’interpretazione più concreta del rispetto del territorio e dell’ambiente, accanto ad una concezione armonica del ciclo produttivo, in grado di restituire centralità all’elemento naturale; infine, e forse soprattutto, da una netta avversione verso l’omologazione produttiva dei vini (compresi quelli di altissima qualità). Dal ricco industriale riconvertitosi a viticoltore, al piccolo vignaiolo, fino al viticoltore esperto che ne ha abbastanza dei prodotti chimici, tutti sembrano almeno incuriositi dalla biodinamica e da personaggi come Nicolas Joly e Alex Podolinsky.
L’approccio europoeo a questa “disciplina” ha, in generale, un carattere per molti versi spirituale, quasi iniziatico, mentre quello del “Nuovo Mondo” presenta caratteristiche più pragmatiche e per nulla dogmatiche. L’adozione dell’uno o dell’altro modello stabilisce uno spartiacque tra i produttori biodinamici: da un lato ci sono i duri e puri, i “talebani” della biodinamica, quelli che seguono alla lettera la teoria del maestro (il filosofo austriaco Rudolph Steiner, attivo intorno agli anni 1920). Sono i pionieri della prima ora, quelli che praticano la biodinamica fin dagli anni ‘80, e che oggi sono diventati dei “classici”, delle icone, consultati alla stregua di oracoli. Poi ci sono i novizi. Molti di loro hanno delle derive utopistiche e ricercano affannosamente una nuova “arcadia” ideale ed impossibile.
Il modo in cui questi vignaioli concepiscono la biodinamica è assimilabile ad una vera e propria filosofia di vita, un modus vivendi, salvifico rispetto ad una società in cui anche l’agricoltura non ha più nulla a che fare con i ritmi della natura. A questi, si affianca una compagine di aziende (anche molto note) che segue un percorso di innovazione senza necessariamente tenere conto alla lettera di questa o quella dottrina, e senza, peraltro, rinnegare totalmente, in caso di necessità, il supporto tecnologico, a patto che sia ecocompatibile. Di Steiner non hanno mantenuto che il concetto fondamentale: la terra come essere vivente, parte integrante dell’universo. E la vite, come qualsiasi altra pianta, partecipe di questo stesso universo. Sono quelli secondo cui, per dirla con una formula: bisogna pensare alla terra e non alla pianta.
Tutti quanti sono uniti da un minimo comune denominatore: hanno intrapreso una sfida difficile. Contro di loro giocano interessi consolidati, l’enorme business del vino, la cultura enologica moderna, la pressione del gusto internazionale, la natura stessa, con le malattie della vite, e la necessità di minimizzare i rischi per assicurare una produzione a gestione industriale.
Non è dunque per nulla sorprendente che una simile tendenza abbia provocato reazioni di vario genere (per lo più negative) da parte degli “esperti”: enologi, agronomi, commercianti di prodotti chimici, politici, sindacalisti del settore viticolo, critici consacrati. Ma non bastava l’agricoltura biologica? In effetti, sia l’approccio biologico, sia quello biodinamico perseguono in vigna il rifiuto di ogni prodotto di sintesi nella concimazione e nella difesa dagli infestanti e dai parassiti. Entrambi sono sistemi di produzione che necessitano di conoscenze specifiche e promuovono un’agricoltura ecosostenibile.
Ma esistono anche delle differenze. La prima è di ordine burocratico e si trova sull’etichetta: un vino “prodotto da agricoltura biologica” (ricordiamo che esistono soltanto normative relative alla fase di coltivazione delle uve e non a quella della vinificazione vera e propria, anche se esistono disciplinari di produzione elaborati da associazioni di produttori che regolano anche quella fase, ma che non hanno valore legale) deve riporatre la certificazione dell’ente preposto (in Italia sono nove); se invece si tratta di un vino “prodotto da agricoltura biodinamica” è cetificato da un unico ente (Demeter).
Ma la diferrenza fondamentale che contaddistingue la biodinamica, risiede, al di là di motivazioni meramente ideologiche (legate ad un’adesione vera e propria ai modelli filosofico-esistenziali dell’antroposofia di Rudolf Steiner), nel concetto (e nella pratica) della rivitalizzazione dei terreni “provati” da anni dei diserbanti e prodotti chimici di sintesi. Qui, di magico o taumaturgico non c’è proprio un bel niente. C’è piuttosto un cambiamento (radicale) nel modo di approcciarsi alle pratiche agronomiche, che si fonda su una base molto concreta, del tutto lontana dagli atteggiamenti mistici dei fondamentalisti del biodinamico. Anzi, è proprio dalla consapevolezza di un livello ormai acquisito di conoscenza scientifica e capacità tecnica che nascono queste nuove esperienze di viticoltura.
Inoltre, il sistema biodinamico (a differenza del biologico che ha un approccio più “razionale”, con utilizzo di rimedi naturali, talvolta semplici e parziali sostituti delle sostanze chimiche) propone un ciclo di trattamenti delle materie e (dell’energia) interni all’azienda stessa e obbliga all’utilizzo di preparati, che vanno usati, per intenderci, secondo i criteri della medicina omeopatica. Anche per queste particolarissime regole (a volte poco convincenti e di cui non analizziamo i dettagli), oltre all’inesistenza di studi scientifici che provino completamente le qualità superiori di questa metodica, sono ancora molto poche le aziende italiane che aderiscono alla certificazione ufficiale biodinamica, anche se effettivamente praticano tale metodologia produttiva.
Il biodinamico resta quindi un fenomeno piuttosto ristretto, ma in crescita e capace di stimolare anche curiosità non meramente modaiole. Come all’interno del mondo del biologico (dove è già presente un’“industria biologica”, che, attraverso l’utilizzo pianificato dei valori tradizionali della terra, ha colto nella moda del “bio” un filone molto redditizio, capace di catturare nuovi consumatori), anche nel mondo della biodinamica è lecito tuttavia dubitare della reale sincerità dei propositi di alcuni produttori che dichiarano di praticarla.
Un risultato è stato comunque raggiunto: grazie alla biodinamica, infatti, si è riscoperto il gusto per l’impegno, per il lavoro della terra, per l’osservazione della pianta e, non ultimo, anche il gusto di considerare e rivedere “dinamicamente” i metodi di coltivazione della vite e di produzione dei vini.


I produttori biodinamici italiani (certificati e non)
secondo WineNews …

Quelli italiani ...

Liguria
Poderi Bado Crosi (Calice Ligure, Sv)
Lombardia
Cascina La Pertica (Polpenazze del Garda, Bs)
Marche
Aurora (Offida, Ap)
Oasi degli Angeli (Cupra Marittima, Ap)
Piemonte
Brezza Francesco (San Giorgio Monferrato, Al)
Cascina Ulivi (Novi Ligure, Al)
Nuova Cappelletta (Vignale Monferrato, Al)
Sicilia
Hans Zenner (Catania)
Toscana
Agricola Querciabella (Greve in Chainti, Fi)
Castello di Rampolla (Panzano, Fi)
La Busattina (San Martino sul Fiora, Gr)
Massa Vecchia (Massa Marittima, Gr)
Tenuta di Valgiano (Lucca)
Tenuta di Trinoro (Sarteano, Si)
Trentino Alto Adige
Longariva (Rovereto - Tn)
Veneto
La Biancara (Gambellara, Vi)
Friuli Venezia Giulia
La Castellada (Gorizia)

… e quelli francesi

Alsazia
Domaine Marcel Deiss
Domaine Zind Humbrecht
Bordeaux
Château La Tour Figeac
Château Pavie-Macquin
Borgogna
Domaine d’Auvenay
Domaine des Comtes Lafon
Domaine Leroy Domaine Romanée-Conti
Champagne
Jacques Selosse
Jean-Pierre Fleury
Châteauneuf-du-Pape
Domaine de Marcoux
Ermitage
Michel Chapoutier
Loira
Coulée de Serrant
Domaine Didier Dagueneau
Provenza
Domaine Romanin
Puligny-Montrachet
Domaine Olivier Leflaive
Rodano
Château de Beaucastel
Trévallon

Franco Pallini

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