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La difficile congiuntura economica: una campagna mai vista prima di sconti nel mercato del vino
di Paul de Cellar

Ogni volta che c’è una guerra, di qualsiasi tipo, vera, commerciale, o in amore, qualcuno vince, qualcuno perde. Ma per dire chi e chi, ci vuole spesso un po’ più di attenzione, di analisi e di tempo di quanto possa risultare a prima vista. Abbandoniamo il riferimento ai grandi, drammatici eventi che hanno scosso e stanno scuotendo il mondo negli ultimi mesi. Qui parliamo di vino, e la “guerra” riguarda il suo mondo. Ma è, guarda caso, connessa con quella “vera”.

Il conflitto (il nostro) è cominciato quando l’altro era ufficialmente (ma sappiamo tutti poi come stanno andando le cose) quasi finito. Si è aperto con una campagna mai vista prima di sconti. Dal 15% al 25% su molte grandi bottiglie francesi. I migliori cru di Borgogna e di Bordeaux (specie quelli del 2000, carissimi), i migliori Ermitage ed Hermitage, gli alsaziani di riguardo. A lanciarla, negli Usa, prima i maggiori specialisti californiani. Poi, anche quelli dell’East Coast. Una specie di stagione di saldi. Ripeto: mai vista prima, a quei livelli.

I motivi? Due. Il calo generale dei consumi alti da congiuntura economica difficile (solo ora la macchina americana mostra sintomi di ripresa, ma è appesantita dai debiti di guerra) e il disamore diffuso per la Francia dopo le controversie sull’intervento in Iraq. Ciliegina sulla torta, i prezzi del Bordeaux 2000, accusati anche dai più spregiudicati.

A chi segue (con passione di parte) le vicende del vino italiano, è subito scattata una ovvia curiosità: la disaffezione americana verso i francesi è passeggera, o durerà? Con che cosa vengono riempiti i vuoti sugli scaffali dei templi Usa del vino? I nostri hanno chance nella corsa al rimpiazzo?

Due risposte (raccolte sul campo) e due dati. No, ci è stato detto: non ci sarà più Italia nei listini, anche perché non ci sono nuove "proposte" mirate sul mutato momento commerciale. Nessun ritocco appetitoso ai prezzi, nessuno sforzo coordinato di approfittare del varco. Gli italiani che tirano ora sono o alcuni supertop (ma meno) o gli "under 20" (dollari). Ma il grosso dei nostri big o presunti tali non sono competitivi, tanto più coi Bordeaux scontati. Costano, molti, svariati dollari in più.

Le cifre ufficiali parlano ancora più chiaro. Nel 2003 sin qui l'import di vino in Usa è così mutato: cresce ancora in valore a pari quantità (+25%, ergo i prezzi salgono ancora) quello dall'Italia, che però non cresce in volumi. Nel frattempo, l'Australia fa un più 60% in volume. Mentre in valore medio si “accontenta” di salire del 9-10%.

C’è bisogno di aggiungere altro? L’occasione perduta è sufficientemente delineata?


P.S - E’ appena nata una nuova agenzia nazionale di promozione del vino italiano all’estero, partecipata a metà tra Stato (minAgri) e Regioni. Riuscirà a mettere insieme un coro, finalmente, che non stoni, e iniziative non delineate su logiche di passerella assessorile, di assemblaggio di comodo (per chi ci guadagna) o di conventicola, come troppo sovente accade per i nostri? La prossima occasione-test verrà presto a dircelo. Il mercato, come il paradiso nei film, non può attendere ...

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