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La grande tradizione può costituire un freno ad una visione assolutamente “laica” e priva di pregiudizi che anche il mercato globale del vino incarna a meraviglia ?
di Roberta di Siena

Le tradizioni, si sa, hanno bisogno di essere tramandate per vivere nei secoli. A volte un corpus di tradizioni forma una vera e propria cultura, ossia un patrimonio di esperienze e di elaborazioni su un determinato aspetto della complessiva esperienza umana, ossia della cultura. E ciò, anche nel campo del bere, e specificamente del bere vino. L’Italia, si sa, ha una nobilissima e antichissima cultura del vino. Testimonianza ne sono i grandi vini di eccellenza, gli straordinari successi di piccole aziende e delle innovazioni prodotte. Certi risultati possono, infatti, essere raggiunti ed a volte, in così poco tempo, solo se vi è alle spalle un humus di cultura di un certo tipo, una sedimentazione di esperienze e di vissuto quali sono quelle possedute dal nostro paese.

Ma ciò non basta. Qualsiasi pretesa, si sa, necessita di essere esternalizzata, per potersi affermare in quanto tale pubblicamente. Allo stesso modo, qualunque preziosa tradizione o invenzione necessita di essere divulgata, fatta conoscere ai più, se si desidera che essa prenda posto nel loro immaginario, assumendo un valore evocativo e unico. Ebbene, lo stesso vale per la cultura italiana del vino solo che, in questo caso, sembra che taluni nostri produttori di eccellenza non sappiano esattamente come porgere nel modo più efficace possibile - in termini di vendite s’intende - le loro ottime produzioni alla restante parte del mondo, e forse anche ai consumatori di questo Paese. Tradotto in altre parole, ciò vuol dire che in Italia le aziende non hanno fino ad oggi sviluppato efficaci strumenti di marketing ed esso, inteso come strategia per arrivare al consumatore, assume spesso la forma di un procedere per tentativi.

Emerge, dunque, la situazione per la quale ad una grande storia e, in termini economici, ad un grande patrimonio di valore, corrisponde la scarsa capacità di valorizzarlo e di venderlo vis a vis la situazione per la quale le produzioni di vasti appezzamenti del Cile, del Sudafrica o della West Coast, su cui si è innestato solo recentemente il know-how dei winemakers italiani, sono soggetto delle più agguerrite e mirate politiche di marketing. Ciò riflette in una certa parte la storia del nostro Paese il quale, pur avendo preceduto numerosi altri in una molteplicità di campi dell’esperienza umana, non ha saputo poi raccogliere la sfida quando si trattava di industrializzare o di mettere a regime certe meravigliose intuizioni o scoperte.

Tornando al vino, la domanda che ci si pone è se, anche per esso, deve prevedersi lo stesso destino. Io credo di no e, inoltre, me lo auguro fortemente. Il fatto è, secondo me, che se la nostra cultura del fare vino è antica e nobile, la nostra cultura del bere - nella società di massa che da un certo punto in poi ha acquisito un certo diffuso potere di spesa - è giovane e, se essa è giovane a casa nostra, è difficile immaginare che la sua affermazione possa essere forte a livello globale. Mai come in questo caso è vero, quanto il possesso di una grande tradizione possa costituire un freno ad una visione assolutamente laica e priva di pregiudizi, che il mercato globale incarna a meraviglia. Ma poiché nessuno vuole ortodossie né estremismi, può esservi un compromesso tra la religiosità assoluta e la laicità assoluta. Tornando al vino, si potrebbe cominciare dall’impostare delle politiche di marketing mirate al nostro mercato interno per avvicinare il pubblico e i giovani in special modo all’apprezzamento del vino di qualità. Non si dimentichi infatti che anche le tradizioni e i marchi perdono parte del loro valore nella misura in cui anche quella parte di pubblico che è più facilmente raggiungibile, cioè il mercato domestico, non è in grado di apprezzarne il contenuto.

Questo è tanto più vero per i vini italiani di qualità che hanno alle spalle un immenso patrimonio di valore aggiunto. Ovviamente è molto meno vero nel caso di un robusto cabernet sauvignon del Cile o della California, che può permettersi di nascere e diffondersi in poco tempo attraverso i più mirati canali distributivi al pubblico già segmentato. Beati coloro i quali non hanno storia ! …

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