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Mercato globale: più management, capacità gestionali e capitali nel mondo del vino … Ma a patto che le strategie si innestino e si incentrino sempre sulla valorizzazione dei valori fondamentali di un grande vino
di Roberta di Siena

Non v’è dubbio come il vino, quello nel quale l’elevata qualità si sposa spesso con grandi nomi, sia diventato un elemento che caratterizza uno stile di vita e un modo di essere, alla pari di altri aspetti quali la moda, i gioielli e in genere molti di quegli oggetti che rientrano nella categoria dei luxury goods. Dunque, anche il vino esce definitivamente dall’indifferenziato, dall’anonimato e sempre più diventa un mezzo capace di evocare un determinato immaginario collettivo. Ma affinchè un certo vino si affermi nel mondo quale simbolo di qualità, bellezza, armonia e lusso, sembra che storia, tradizioni, saper fare e doni della natura non siano più sufficienti. E ciò in ragione del fatto che oggi il mercato è diventato globale, per cui la concorrenza arriva anche dove prima non arrivava e fa sì che le aziende di dimensioni più piccole, anche se di eccellenza, si sentano spesso il fiato sul collo. Ci vorrebbero maggiori capacità di management - si dirà - oppure dovrebbero essere incrementati gli investimenti per la promozione e il marketing, ma tutto ciò ha un costo che spesso le aziende non sono in grado di sostenere.Ecco allora verificarsi anche per il vino ciò che accade ormai da circa venti anni nei settori dell’industria, della finanza e di certi servizi e che, semplificando, si può riassumere nel concetto che grossi produttori vitivinicoli a livello mondiale acquistano le aziende più piccole di eccellenza, per promuoverne attraverso i loro canali e con i loro investimenti le produzioni. Si potrebbe immaginare a breve che anche il grande vino dei nostri territori entri a far parte con la moda, i gioielli, lo champagne o altro bene di lusso, di un portafoglio di marchi di una società finanziaria la quale non produce e non ha mai prodotto vino, né mai lo produrrà.Ora, se la tendenza verso le concentrazioni o le fusioni è fenomeno tipico della globalizzazione per ovvi motivi, e se è anche vero che tale fenomeno non distingue tra un prodotto e un altro, forse è il caso di avere qualche perplessità nel caso dei grandi vini. Essi sono infatti un prodotto complesso, hanno una natura spuria, fatta di materialità e di immaterialità, la quale ultima richiama fortemente i valori della sua origine, della posizione a bacìo oppure assolata di un certo appezzamento, della storia di un territorio e spesso di una comunità, di un’evoluzione tutta speciale nel corso dei secoli, della casualità di una gelata di un inverno particolarmente rigido, che ha costretto ad innestare sul vitigno del luogo un vitigno importato da fuori, ed altro. Il timore, forse infondato, è che tutto questo si dissolva e che, in altre parole, quei valori ne escano affievoliti e con essi, i valori di tutto un mondo di cui spesso un grande vino è la sintesi più elevata. Un mondo di piccole dimensioni, ma vivace e sempre pieno di sogni che spesso diventano realtà. Un mondo che vuole tenacemente affermare la sua identità e la sua riconoscibilità per non dissolversi in quel Mondo globale che impone le stesse regole a Singapore come a New York o a Firenze. E ciò anche nel campo della cultura del vino. Ben vengano il grande management allora, le capacità gestionali e i capitali, ma a patto che le strategie si innestino e si incentrino sulla valorizzazione dei valori fondamentali di un grande vino che, come già detto, hanno una natura complessa. Del resto, anche recenti esperienze nel campo dell’acquisizione di famose case di moda - leggi Valentino - da parte di grossi gruppi finanziari dovrebbero insegnarci qualcosa: moda docet.

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