Il dibattito sull’utilizzo degli Ogm (Organismi Geneticamente Modificati) in agricoltura si fa sempre più serrato, e vede opporsi il fronte di chi è favorevole alla ricerca e quello di chi stigmatizza la pratica a priori in nome della naturalità.
Ma quale è lo stato dell’arte per quello che riguarda il vino e la viticoltura? “Siamo vicini a dei risultati per i porta-innesti, che però non producono uva - spiega a www.winenews.tv il professor Mario Fregoni, ricercatore e direttore del Dipartimento di Frutti-viticoltura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - e quindi non sono pericolosi. Siamo a medio termine per le uve da tavola, dove esistono meno remore che per il vino. Per quest’ultimo, invece, siamo lontani, al punto che non vale la pena “strapparsi i capelli” adesso perché non esistono varietà di vite Ogm coltivate. Ce ne sono in laboratorio, in serra o nei vigneti sperimentali sotto controllo, ma siamo ben lontani dal vino “Ogm””.
E chi vede negli Ogm un pericolo può stare tranquillo, perché “ci sono tutti i passaggi di approvazione delle varietà che richiedono almeno dieci anni di prove, e se queste vengono superate - spiega il professore - devono poi passare al vaglio dei viticoltori. Ci sono talmente tante valvole di sicurezza che per la vite sono tranquillo”.
Ma quali sono le prospettive future in questo campo? “Teoricamente gli obiettivi della ricerca sono legati alla resistenza e alle malattie, e arrivare a dei risultati sarebbe una buona cosa perché si ridurrebbero i trattamenti chimici e l’inquinamento. Il problema però - puntualizza Fregoni - rimane la qualità: se faccio un Sangiovese resistente alle malattie ma che non mi da il “Brunello” per esempio, che cosa me ne faccio? Il problema della qualità è difficilmente risolvibile, ed è per questo che io sono scettico sull’introduzione a breve degli Ogm”.
“La natura in tanti millenni ha fatto veramente i miracoli - chiosa il professore - e l’uomo non ha fatto altro che selezionare quello che c’era. Superarla non è così semplice come credono anche alcuni miei colleghi ricercatori”.
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