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Per la promozione del “made in Italy” enoico nel mondo si deve favorire l’iniziativa privata delle aziende più intraprendenti che vogliono espandersi nei mercati anche i più marginali …
di Bernardo Lapini

L’attuale stallo del mercato del vino, sia interno che dell’Unione Europea, è purtroppo un fatto. Nel mondo del vino italiano aleggia una diffusa crisi di fiducia, che frena ripresa e sviluppo. Le “aspettative di lungo termine”, proprio quelle che John Maynard Keynes identificava come motore principale della crescita, non sono affatto positive. Si investe poco, ma più in generale si pensa poco al futuro, ci si chiude in ambienti protetti, preferendo l’illusione della stabilità al rischio. Ma è pur vero che ormai si naviga nel mare aperto della globalizzazione. E anche l’imprenditoria vitivinicola - e le stesse istituzioni - deve capire come governarne i processi. Insistendo su un ottimismo consapevole sulle opportunità, rappresentate dalle dimensioni della competizione dei mercati aperti e applicando con determinazione la legge più elementare dell’economia che, in fase di crisi, impone la conquista di nuovi mercati e un più intenso sfruttamento dei già esistenti.
Probabilmente questo tipo di considerazioni sono all’ordine del giorno dei molti imprenditori del vino più illuminati, che, però, non sembrano abbastanza per superare l’empasse attuale. Se è vero, come è vero, che una recente indagine di Assocamerestero ha evidenziato che il 60% delle imprese italiane che operano all’estero ha come mercati di riferimento al massimo 3 Paesi stranieri e, addirittura, ben il 44% uno solo. Una situazione sclerotizzata ormai dal 1999 e che vede privilegiare quasi esclusivamente i mercati più semplici, cioè quelli di riferimento e tradizionalmente strategici per le merci italiane. Ma nei periodi di crisi è l’argent che fa guerre e non la nobiltà dei lombi!
Il provincialismo italiano che guarda con terrore alla concorrenza che viene dal Paesi in impetuoso sviluppo, dalla Cina all’India, dai Paesi arabi più innovativi a quelli dell’America Latina, nasconde le molte opportunità che invece quei paesi offrono. E la paura è il modo peggiore di affrontare questo nuovo scenario.
Il vero problema italiano non è la concorrenza sleale di questi Paesi, ma la nostra assenza dai loro mercati. E questo aspetto del problema interessa direttamente anche l’imprenditoria vitivinicola italiana, ancora debolmente presente su quei mercati. Dobbiamo, invece, portare i nostri vini, nell’Estremo Oriente, nell’Europa orientale e nel Sud America, perché possano diventare l’offerta migliore rispetto a quella domanda di vini di qualità, di cui è protagonista oggi la “nuova borghesia” dei Paesi emergenti, destinata a crescere (le statistiche sul progressivo allargamento delle fasce di reddito di paesi come Cina o Russia, sono note).
Siamo in presenza di cambiamenti epocali per quanto riguarda il panorama internazionale del mercato del vino, cambiamenti che bisogna evocare se vogliamo esorcizzarli. Come accennavamo all’inizio, anche le istituzioni dovranno prendere atto di questi cambiamenti e favorire l’iniziativa privata delle aziende più intraprendenti che vogliono espandersi nei mercati anche i più marginali.
Il proliferare di nuove strutture burocratiche, ripetitive nei nomi, per la promozione del “made in Italy” enoico al massimo possono servire nei periodi di forte espansione per disciplinare lo sviluppo, ma nei momenti di recessione, occorre, soprattutto, idee chiare, progetti forti, linee guida. La promozione ed il marketing sono due credi che hanno poco estimatori, nel settore pubblico, sarebbe forse arrivato il momento giusto in cui le istituzioni fornissero esclusivamente le risorse necessarie a quelle aziende che invece hanno “buoni rapporti” con questi elementari strumenti dello sviluppo economico. D’altra parte anche le aziende vitivinicole devono cambiare. Occorre un rinnovamento dal lato dell’“etica della trasparenza”, affinché le aziende diventino “libri aperti”, soprattutto sul versante produttivo, dove ancora troppo spesso continuano ad esistere inutili e anacronistiche reticenze, che hanno effetti disastrosi sul fondamentale rapporto con i clienti finali.

La news - Cresce il “made in Italy” nel mondo. Boom dei Paesi emergenti.
Export italiano: +4%. Nel 2005, in Russia, +90% e in Cina +98%
Aumenta del 4% il valore delle esportazioni di vino made in Italy nel mondo come risultato di una sostanziale stabilità nei mercati comunitari, una forte crescita negli Stati Uniti (+12%) ed un vero boom nei paesi extracomunitari emergenti come la Russia (+90 %) e la Cina (+98%): emerge da una analisi della Coldiretti sul commercio estero nazionale nel primo quadrimestre 2005 in base ai dati Istat, dalla quale si evidenzia che il vino è la principale voce dell'export agroalimentare nazionale con un valore che, nel 2005, potrebbe superare i 3 miliardi di euro. Si tratta di un risultato incoraggiante - sottolinea la Coldiretti - per una vendemmia considerata ottima dal punto di vista qualitativo e produttivo su livelli simili, secondo l'Ismea e l'Unione Italiana Vini, a quelli dello scorso anno attorno ai 53 milioni di ettolitri.

Focus - Made in italy: attrae vicini, svizzeri e belgi in testa
Assocamerestero, cresce meno interesse Cina e Usa

Gli opposti si attraggono. E' forse per questo motivo che i nostri più grandi fan sono i precisi cugini della comunità elvetica. Ad affermarlo è una ricerca condotta da Assocamerestero sull'attrattiva del Sistema Italia, secondo cui la Svizzera è il Paese che dimostra sia economicamente che turisticamente il maggior interesse per l'Italia. Vicinanza, prima di tutto. Ma anche una congiuntura molto favorevole: le nostre esportazioni verso Berna sono cresciute del 36,5 dal 2000 al 2004, confermandoci come secondo partner commerciale dopo la Germania. Non solo. Sono sempre di più gli svizzeri che decidono di trascorrere le loro vacanze in Italia (+15% rispetto al 2000).
L'analisi delle Camere di Commercio Italiane all'Estero ha preso in considerazione 27 Paesi rappresentanti il 75% delle esportazioni italiane totali, oltre il 90% della spesa turistica dei viaggiatori stranieri in Italia e il 65% del totale dei servizi venduti dall'Italia all'estero. Ad aggiudicarsi la medaglia di argento è il Belgio, che recupera svariate posizioni rispetto al 2000 grazie all'aumento delle vendite di servizi (+55%) e alla variazione della spesa turistica dei belgi nel nostro Paese (+23%). Discorso simile a quello della Svizzera vale per l'Austria. Anche qui l'Italia si pone come secondo partner commerciale e la spesa dei turisti austriaci nello stivale ammonta al 6% della spesa globale.
Perde posizioni la Tunisia che passa dal primo posto del 2000 al quarto del 2004 a causa della brusca variazione dei servizi, diminuiti del 20%. Roma rimane, comunque, il secondo partner commerciale per Tunisi, sia per l'import sia per l'export, principalmente per tessile e meccanica. In salita nella hit parade il Marocco che dall'inizio del terzo millennio ad oggi ha recuperato ben 7 posizioni, passando dal diciassettesimo al decimo posto, grazie all'aumento dell'esportazioni (+31,5%) e dei servizi (+37%). Ultimi posti, a sorpresa, per Stati Uniti (23esimi), Cina (26esima) e Giappone (27esimo).
Stupisce, in particolare, il dato di Pechino, ma se "é vero - spiegano da Assocamerestero - che, tra i mercati considerati, la Cina ha registrato la variazione più elevata di importazioni dall'Italia (+87%), è altrettanto vero che le importazioni cinesi dagli altri Paesi sono aumentate ad un ritmo più elevato (+153%)". Inoltre, la spesa dei cinesi per i viaggi in Italia è ancora molto bassa, poco meno dell'1% globale. Per quanto riguarda Washington, l'Italia sconta sia il calo della quota di mercato dal 2,1% del 2000 all'1,9% del 2004 sia l'euro forte che ha influito sulla spesa degli americani nello stivale per servizi (-13%) e viaggi (-6%).
"Dall'indice di attrattività del sistema Italia emerge che il nostro Paese sta rafforzando le sue posizioni nei confronti degli Stati limitrofi. Sono particolarmente soddisfacenti - spiega il direttore generale di Assocamerestero,Gaetano Fausto Esposito - i dati che riguardano Marocco e Tunisia, segno che stiamo acquistando peso in un'area a forte vocazione: il Mediterraneo. Non deve sorprendere il piazzamento di Stati Uniti e Cina: poiché l'indice considera anche le dimensioni del Pil, é evidente che questo si riflette sul dato delle economie più grandi".

La graduatoria dei Paesi secondo l'indice di attrattività
del Sistema Italia, elaborata da Assocamerestero:

1. Svizzera
2. Belgio
3. Austria
4. Tunisia
5. Ungheria
6. Paesi Bassi
7. Francia
8. Regno Unito
9. Germania
10. Marocco
11. Spagna
12. Egitto
13. Portogallo
14. Turchia
15. Svezia
16. Israele
17. Hong Kong
18. Argentina
19. Australia
20. Brasile
21. Thailandia
22. Canada
23. Usa
24. India
25. Messico
26. Cina
27. Giappone

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