Anche Angelo Gaja, uno dei produttori italiani tra i più famosi nel mondo, scende in campo sulla querelle dei prezzi che da qualche tempo agita il mondo del vino nel nostro Paese. Tutto nasce da una dichiarazione di Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini, che ha recentemente invitato i produttori a farsi un “esame di coscienza” sull’inarrestabile aumento dei prezzi del vino. Rivella ha criticato la tendenza di molti produttori a posizionarsi con i loro vini nella fascia di prezzo più alta, sopra i 30 euro per bottiglia: secondo il presidente dell’Unione Italiana Vini non tutti i vignaioli possono pensare di realizzare vini di vertice. Anzi, non esistono più di 20 etichette in Italia che possono davvero permettersi di stabilire il prezzo che vogliono: sono i vini di culto, quelli ormai entrati a pieno titolo nel gotha del panorama vinicolo nazionale. La dichiarazione di Rivella ha suscitato molte reazioni: una ridda di voci si sono infatti levate contro il fenomeno del caro-vino. Adesso, anche Angelo Gaja, le cui etichette appartengono alla ristretta cerchia dell’eccellenza enologica italiana, dice la sua sulla questione dei prezzi, con il piglio ironico che da sempre lo contraddistingue. Gaja parte con un bilancio su questa bizzarra annata 2002, che in Piemonte è stata caratterizzata dai gravi danni causati dal maltempo, in particolare nella zona del Barolo, dove grandinate intense hanno danneggiato alcuni “cru” storici. “Per i produttori del Piemonte – scrive Gaja - non si tratta solamente di un’onta, ma di un segnale ulteriore di un destino avverso che si abbatte inesorabilmente su un’annata data fin troppo presto per spacciata. Sette annate consecutive in Piemonte, dal 1995 al 2001, di livello di qualità da molto buona all’eccellenza, roba mai vista prima in passato, avevano finito per creare una situazione paradossale. Anche se inconsciamente, in molti hanno cominciato a sperare in un’annata 2002 normale, se non anche modesta. La volevano gli esperti, che sarebbero rimasti increduli, esitanti, a dover celebrare il rito dell’ennesima annata eccezionale. La volevano il mercato e non pochi produttori, perché vedevano in essa una scusa, una ragione ufficiale per manovrare in diminuzione la leva del prezzo”. Angelo Gaja passa poi ad un’analisi più generale sull’attuale situazione economica: “Nel primo semestre 2002, il generale rallentamento dell’economia, in diversi Paesi, ha frenato la domanda dei beni di consumo, inclusa ovviamente anche quella del vino. Se le economie rallentano, se i mercati “non tirano”, non è certo per colpa dei produttori di vino. I quali, quando il mercato tirava, i loro vini avevano saputo venderli molto bene creando un successo che è sotto gli occhi di tutti. Quando il mercato non tira, invece, i produttori adottano misure diverse, dall’abbassamento dei prezzi, alla riduzione della quantità proposta, all’offerta di incentivi. Non è che occorrano fior di economisti per fare ciò: basta una normale attitudine imprenditoriale, che la stragrande maggioranza dei produttori di vino ha dimostrato di possedere”. Ed ecco che Gaja ironizza sulla polemica dei prezzi, e soprattutto sul coro di voci che si sono sollevate sulla questione dopo la dichiarazione di Ezio Rivella: “Ma sul vino sono piovuti consigli, ammonimenti, raccomandazioni da parte di funzionari addetti alla valorizzazione dei prodotti agricoli, dei tutori del territorio, degli esperti di flussi turistici, dei presidenti delle enoteche pubbliche, dei presidenti dei consorzi strade dei vini, dei sostenitori dell’enoturismo, dei sindaci del vino (?), dei politici, di alcuni produttori smaniosi di compiacere e di guadagnarsi qualche spazio sui giornali, degli esperti dell’ultima ora. Tutti, dai saggi, ai grilli alle cicale, a chiedere ai produttori di vino di abbassare i prezzi, ed ai ristoranti ed enotecari di abbassare i ricarichi applicati al vino. Non avevo letto eguali invocazioni rivolte ad Armani, a Brioni, all’industria dell’abbigliamento; né a Loro Piana ed all’industria tessile; nè a Luxottica e all’industria degli occhiali; né a Tod’s e all’industria calzaturiera; né a Ferrero e all’industria dolciaria; né a Lancia, Alfa Romeo, Audi e all’industria automobilistica. Concludo osservando che si è creata una situazione nuova nel mondo del vino. Della quale noi produttori dobbiamo prendere atto. Il vino sta diventato patrimonio di tutti. Molti si sentono autorizzati, per il nostro bene, ma anche per il loro, a dirci cosa dovremmo fare. E noi dobbiamo imparare ad ascoltare, a leggere nei suggerimenti cosa è utile per la natura, per le esigenze, per le dinamiche delle nostre aziende, spesso diversissime le une dalle altre. E dobbiamo imparare ad essere cauti a spargere preoccupazioni e pessimismo, perché vengono letti con la lente di ingrandimento. Con il rischio, che abbiamo corso, di alimentare sull’annata 2002 un discredito che appare largamente ingiustificato”.
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