Dopo la crisi del 2014, che ha portato alle sanzioni ancora vigenti imposte dall’Unione Europea, la Russia sembra aver ritrovato smalto e stabilità, con un’economia che cresce a ritmi inferiori a quelli degli anni scorsi, ma stabili (le previsioni del Governo di Mosca parlano di un +2% annuo da qui al 2024), e nonostante l’instabilità del rublo anche i consumi di vino importato tornano a correre, compreso quello italiano, di gran lunga, almeno a valore, il più venduto. Come spiega Pier Paolo Celeste, direttore Ice per la Federazione Russa, l’Armenia e la Bielorussia, intercettato da WineNews a Mosca per “Solo Italiano”, l’evento del Simply Italian Great Wines targato Iem (https://iem.it/), guidato da Giancarlo Vogliono e Marina Nedic, che porta il Belpaese enoico a Mosca e San Pietroburgo (19 giugno), “dall’Italia arrivano sul territorio russo 220.000 bottiglie ogni giorno, di cui 51.000 di spumante, di cui abbiamo una quota del 65%: due bottiglie su tre, tra quelle importate, sono italiane. Per quanto riguarda l’imbottigliato fermo la quota scende al 25%, e se in volume siamo secondi dietro alla Spagna, quando guardiamo al prezzo medio la distanza è abissale, non possiamo neanche considerarlo un nostro competitor”.
Qualche ostacolo, però, persiste, perché il momento, a livello globale, è complesso, sia da un punto di vista politico che economico, con le spinte autarchiche che, un po’ come in Usa, ma per altri settori, si fanno forti anche in Russia. “Alle sanzioni imposte dall’Europa e da altri Paesi - riprende Pier Paolo Celeste - la Russia ha risposto con contro sanzioni che hanno risvegliato il Paese, che prima si pagava quasi il 70% delle proprie spese facendo un buco per terra ed estraendo risorse. Con il crollo dei prezzi delle materie prime la Russia si è rimessa in moto, re industrializzandosi, recuperando il ruolo che aveva negli anni Cinquanta e Sessanta. Anche nel vino, perché sotto il Caucaso ci sono ottime produzioni, e ne beneficiamo anche noi, visto che le nostre macchine imbottigliatrici vanno forti. Si modifica un mercato, e questa sorta di revamping fa sì che l’industria nazionale debba essere protetta, per cui il “buy Russian”, che vediamo in altre parti del mondo, ma che abbiamo visto anche in Italia negli anni Trenta, quando subì le sanzioni della Comunità Internazionale, fa sì che si diventi autarchici, e che si prediliga, forzatamente in alcuni casi, il prodotto del posto. Auguriamo - aggiunge il direttore Ice Russia - alla Federazione Russa di fare i miracoli, ma l’esperienza non si guadagna in pochi mesi, e alla qualità dei prodotti italiani non credo arriveranno mai, fermandosi a quantità irrisorie. Il prodotto italiano è saldo, poi molto dipende dalla congiuntura e dal momento che sta vivendo il Paese, specie in termini di crescita dei consumi: in questo momento il consumatore è frenato, ma il Paese è immenso e rimane importantissimo per noi”.
Un ulteriore minaccia, ancora difficile da quantificare, ma dalla portata potenzialmente preoccupante, è quella della contraffazione, al centro della tavola rotonda organizzata dalla Iem con gli importatori russi, i distributori, i vertici dell’Ice Russia e quelli dell’Icqrf - Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari di Asti. “Il problema della contraffazione - spiega Pier Paolo Celeste - più che con guerre commerciali, che sappiamo quando cominciano ma mai quando finiscono, va affrontato con l’educazione, dobbiamo istruire i consumatori su ciò che bevono. Come Ice proponiamo corsi di formazione, di educazione attraverso i tasting, facendo passare un messaggio chiaro: se vogliono il prodotto italiano devono essere disposti a pagare qualcosa in più, potendo però contare su vini che seguono una filiera di controlli eccezionale che ne certificano l’alta qualità”.
Una case history paradigmatica in questo senso è quella dell’Asti che, come ricorda Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio delle bollicine piemontesi, “ha in Russia il suo mercato di riferimento, capace di arrivare a 15 milioni di bottiglie (su una madia produttiva di poco meno di 90 milioni idi bottiglie, ndr) nel 2013, e nel 2018 a quota 10 milioni d bottiglie. I primi casi di contraffazione risalgono al 2011, all’epoca organizzammo due conferenze stampa, a Mosca e San Pietroburgo, per spiegare le differenze e raccontare le peculiarità dell’Asti Docg. Oggi - continua Bosticco - le maggiori criticità arrivano dall’Ucraina, dove le bottiglie contraffatte sugli scaffali della Gdo, secondo i dati Nielsen, sono ben 3 milioni, che diventano potenzialmente 4,5 milioni su tutto il mercato. Vendute a prezzi ben distanti da quelli del vero Asti: 2,82 euro a bottiglia contro 8,34 euro a bottiglia. In Russia, negli ultimi 12 mesi le bottiglie di falso Asti sono arrivate a 250.000, per un giro d’affari di 712.000 euro, una quota ancora ridotta ma in fortissima crescita. In questo senso - conclude il direttore del Consorzio dell’Asti - l’attività di controllo, così come la tracciabilità e l’educazione, sono fondamentali”.
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