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Scariche elettriche come barriques, osmosi inversa, elettrodialisi, studi sul dna … Questo è il futuro? E’ possibile che i nostri figli berranno un vino molto diverso: una sorta di “vino di Frankenstein”
di Bernardo Lapini

Potrebbe succedere che il vino diventi come Frankenstein? Berranno i nostri figli qualcosa di totalmente diverso rispetto a ciò che siamo abituati a considerare vino? Potrebbe succedere, almeno stando alla ricognizione di www.winenews.it, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, su quello che accade in giro per il mondo. Ecco un altro argomento che sarà al centro, insieme a molti altri, del Vinitaly (Verona, 6/10 aprile 2006), una delle rassegne internazionali più importanti del settore. Dal Giappone arriva l’annuncio del perfezionamento di un macchinario che consente in pochi secondi di ottenere un perfetto vino invecchiato a partire da una bottiglia di Novello, sottoposto ad una piccola scarica elettrica.
La società del Sol Levante, che ha inventato il macchinario in questione, sta stringendo collaborazioni con aziende vitivinicole in California e nello Stato di Washington e spera di iniziare a vendere su Internet le bottiglie ottenute con questo trattamento entro la fine di quest'anno e ad un prezzo attorno ai 5 dollari.
Intanto, si cominciano a stabilizzare i vini con macchine che funzionano per elettrodialisi, intervenendo cioè direttamente sulle cariche positive o negative che costituiscono i legami chimici delle molteplici sostanze che compongono il vino. I concentratori, una volta considerate le macchine “infernali” per eccellenza dell’enologia, ormai sono poco più che attrezzature obsolete, progressivamente sostituite dalle macchine a osmosi inversa (originariamente sviluppate per la filtrazione del sangue nelle apparecchiature per la dialisi), che, lavorando ad alta pressione, fanno passare il vino attraverso membrane in grado, selettivamente, di bloccare determinati componenti (l’acqua, i polifenoli ...). A differenza del concentratore, che ha i suoi contro, questa tecnologia presenta solo vantaggi. Con tali macchine è infatti possibile mutare totalmente la composizione di qualsiasi vino.
Lo studio del genoma della vite va avanti e presto potremmo disporre dell’intera mappa del suo Dna. Come provetti Sherlock Holmes dell’enologia, saremo in grado di stabilire con precisione se un vino contiene i vitigni indicati nel disciplinare oppure se è un volgare tarocco, attraverso una semplice analisi del suo Dna, che ne stabilirà l’autentica carta di identità. Ma potremmo anche letteralmente costruire una “super-vite” con geni provenienti da altre specie, capace di resistere alle malattie e capace di sviluppare aromi particolari, così come potremmo sperimentare l’ingegneria genetica sugli stessi lieviti selezionati per uso enologico. Se questa può sembrare fantascienza, vediamo cosa sta succedendo regolarmente nei Paesi del cosiddetto Nuovo Mondo enologico. Molto più semplicemente, è pratica consentita e comune per l’Australia piuttosto che per il Cile, l’aggiunta di aromi sintetici al vino, vale a dire la creazione artificiale di quegli aromi che siamo abituati a considerare come faticoso risultato dei processi biochimici che si sviluppano a partire dal grappolo d’uva e si completano in cantina, nella fermentazione e, per ultimo, nelle varie fasi dell’affinamento.
Ben sapendo che il vino è un prodotto di trasformazione, e che senza il contributo della tecnologia berremmo oggi vini senza dubbio peggiori, su questa carrellata di esempi di viticoltura ed enologia del futuro (neppure, forse, tanto lontano) è certamente d’obbligo un giudizio non da “Tribunale dell’Inquisizione” ma una riflessione consapevole, che tenga comunque conto che il vino è anche, e soprattutto, prodotto della natura.

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