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CURIOSITÀ

Seguendo “alla lettera” il fondatore del Sacro Romano Impero, rinasce l’orto-giardino di Carlo Magno

Succede a Mantova, dove, nel Convento del Gradaro, l’Associazione Mantova Carolingia ha messo in pratica il “Capitulare de villis vel curtis imperii”

“Vogliamo che nell’orto sia coltivata ogni possibile pianta, cioè” piante note come il giglio, le rose, la salvia, il rosmarino, il prezzemolo, la menta, il finocchio, le zucche, le carote, la lattuga, il sedano, i cavoli e le cipolle, ma anche la senape e la camomilla, alcune particolari come l’abotrano, la scilla, i coloquintidi, la visnaga, il macerone, il levistico, l’erba moscatella, e la barba di Giove, “che l’ortolano faccia crescere sul tetto della sua abitazione. Quanto agli alberi, vogliamo ci siano frutteti di vario genere: meli cotogni, noccioli, mandorli, gelsi, lauri, pini, fichi, noci, ciliegi di vari tipi”. Quali meli? Quelle delle “gozmaringa o geroldinga, crevedella, spiranca, dolci, acri, di lunga durata e da consumare subito. Tre o quattro tipi di pere a lunga durata, quelle dolci, quelle da cuocere, le tardive”. In tutto 73 tra ortaggi ed erbe e 16 alberi. Rileggendo e seguendo alla lettera le parole del fondatore del Sacro Romano Impero, che all’agricoltura dedicò una riforma alla fine dell’VIII secolo con il “Capitulare de villis vel curtis imperii”, un manoscritto oggi conservato alla Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel, in Germania, con l’elenco di ciò che i vassalli, i signori nelle fattorie e i monasteri dovevano coltivare fornendo un quadro dell’economia curtense medievale, da un po’ di tempo la Mantova dei Gonzaga custodisce un tesoro ben più antico dei suoi illustri e noti signori: l’orto-giardino medievale di Carlo Magno, al Convento del Gradaro dell’istituto Maria Immacolata delle oblate dei poveri, dove oggi rinascono specie rarissime recuperate dai vivai o da collezionisti di piante antiche, sia officinali che utili all’alimentazione, tra il giardino dei fiori, l’orto-erbario, il vigneto a pergolato con la vite ancellotta ed il frutteto.
Un territorio, quello di Mantova, in cui l’agricoltura affonda le sue origini proprio nel Medioevo, quando i monaci legati all’importante Abbazia di Bobbio dettero impulso alla diffusione di vigneti, castagneti, oliveti, mulini e frantoi, e si riaprirono le vie commerciali, vie fluviali e di comunicazione, come il Piorato di San Colombano di Bardolino, con il territorio del Lago di Garda, dei fiumi Mincio, Adige, e la zona della Valpolicella, del veronese e lungo la Via Postumia. Evento storico determinante per la città, fu il ritrovamento nell’anno 804 del presunto Sangue di Cristo seppellito proprio in località Gradaro dal centurione romano Longino, con la nascita della diocesi e l’arrivo a Mantova su invito di Carlo Magno per verificare il ritrovamento di Papa Leone III, che nella notte di Natale dell’800 lo aveva incoronato Imperatore a Roma. Un viaggio per raggiungere Roma da Aquisgrana che aveva visto il futuro Imperatore passare anche da Mantova, lungo la leggendaria Via Carolingia. Un percorso storico, culturale e paesaggistico sulle tracce dell’avventura carolingia e della trasformazione culturale apportata da Carlo Magno in Italia, che Mantova ha dedicato alla ricostruzione dei giardini medievali - quello del Convento del Gradaro è a cura dell’Associazione Mantova Carolingia nell’Itinerario Europeo Culturale Storico Artistico e Religioso della Via Carolingia, con il Comune, Italia Nostra e molti altri - e alla riscoperta delle essenze officinali rintracciabili, da salvaguardare o estinte che hanno dato via all’antica farmacia, accanto alla costruzione del paesaggio carolingio con la trasformazione e la riorganizzazione della struttura agraria, di cui fu artefice l’Imperatore in prima persona. Senza dimenticare il mondo del vino, disciplinato dal capitolare con l’introduzione di nuove regole per la vinificazione, come la torchiatura dell’uva al posto della pigiatura con i piedi.

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