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Sigfrido Ranucci: “i consorzi del vino sono diventati centri di potere e luogo di scambio di favori”

Il conduttore di “Report” torna a parlare dell’industria del vino e delle prossime inchieste del programma di Rai 3 ospite a “KlausCondicio” (YouTube)
CONSORZI, CONTROLLI, INDUSTRIA DEL VINO, RAI 3, REPORT, Italia
Il conduttore di “Report” su Rai 3 Sigfrido Ranucci

“I consorzi del vino in Italia hanno un fatturato annuo di 14 miliardi di euro e sono ancora utili, ma il problema è che sono diventati veri e propri centri di potere che riescono ad ottenere favori in materia di controlli”. A dirlo è Sigfrido Ranucci, conduttore e autore di “Report”, e vicedirettore di Rai 3, che, in un’intervista nel talk su YouTube “KlausCondicio” di Klaus Davi, torna a parlare dell’industria del vino e delle prossime inchieste che saranno condotte dal suo programma, dopo la puntata andata in onda il 17 dicembre con il servizio “Piccoli Chimici” con interviste ad esperti ed imprenditori del settore, che ha fatto discutere come abbiamo raccontato su WineNews riflettendo su questioni note da affrontare per il futuro. Ma che ha fatto anche il pieno di ascolti sfiorando il 10% di share con quasi 2 milioni di telespettatori collegati, tra i più alti in assoluto nel prime time della domenica sera.
Secondo Ranucci, gli episodi di raggiro per quanto riguarda il mercato del vino sembrano essere ormai all’ordine del giorno. “Il vero problema che noi di “Report” abbiamo voluto denunciare riguarda l’uso di sostanze che servono per correggere la qualità del vino già a partire dall’uva. Se non ha il giusto grado di zucchero oggi si aggiunge il mosto rettificato, poi ci sono i lieviti al sapore di frutti di bosco o agrumi che servono per dare retrogusto al vino e abbiamo ritrovato anche l’uso di argille e sostanze animali come la gelatina proveniente dai suini o l’albume. E ancora abbiamo riscontrato l’utilizzo di chips di legno rovere per dare il sapore di barricato al vino in poche settimane (di solito ci vogliono anni) e così via”, ha spiegato Ranucci, sottolineando che “nelle cantine italiane pensavamo di trovare romantici vinificatori che pigiano il mosto e invece c’è il piccolo chimico”.
L’obiettivo degli imprenditori sarebbe ridurre il più possibile i costi e aumentare i guadagni: “una delle regole più violate in assoluto riguarda la tendenza a vinificare l’uva da tavola. Si arriverebbe anche ad allungare le uve Glera, quelle che servono per produrre il Prosecco. Il tutto per abbassare i costi. Si tratta di un fenomeno diffuso e ben collaudato, con tanto di mediatori e luogo di appuntamento conosciuti da tutti i vinificatori. Quest’anno poi, per via della peronospora, il fungo flagello dei viticoltori che azzera i raccolti, si rischia che il vino imbottigliato venga allungato con uva da tavola”, ha dichiarato il conduttore di “Report”. Il rischio, per Ranucci, è quindi quello di andare contro ai vari disciplinari che regolano il mondo della produzione del vino: infatti qualora si trattasse di destrutturazione del mosto sarebbe una grave sofisticazione del prodotto vino. In qualche modo però gli imprenditori del settore “se la stanno cavando”: “non possiamo definire tutte queste operazioni che ho citato come “sofisticazioni” del vino se vengono utilizzati prodotti leciti. Io parlerei più di manipolazione delle uve - ha specificato il conduttore - il che è consentito dai disciplinari occasionalmente”.
In uno dei servizi del 17 dicembre “Report” ha mostrato anche l’importanza di un’espressione che si può trovare sulle etichette delle bottiglie. “Le norme europee sulle etichettature vengono rispettate, ma grazie al nostro approfondimento abbiamo imparato che se vogliamo un vino realizzato con uve di un determinato produttore bisogna scegliere la bottiglia con l’etichetta su cui c’è la scritta “imbottigliato all’origine”. Ma alzi la mano chi lo sapeva. Bisognerebbe allora insegnare a leggere le etichette”, ha detto Ranucci.
Ma l’obiettivo dell’inchiesta aperta programma di Rai 3 non è quello di distruggere un’eccellenza italiana. “In realtà il nostro fine è esattamente l’opposto - spiega Ranucci a Klaus Davi - stiamo cercando di evidenziare le criticità di questo mondo per migliorare un prodotto che è un’eccellenza italiana. E io non credo che all’estero siano dei “verginelli” in tema di sostanze per migliorare il vino. Ma credo che l’abuso di queste sostanze mortifichi la qualità di chi invece cura al massimo tutte le fasi della produzione del vino. Alla fine poco importa se produci uva di qualità perché poi con un po’ di mosto rettificato, lieviti alla frutta, gelatine animali e chips riesci a produrre un vino alcolico, fruttato e barricato”. Per chiarire ulteriormente il concetto Ranucci cita un’altra delle storiche inchieste condotte negli anni da “Report”: “è come nel caso della pizza napoletana. Quando denunciammo che per produrla si utilizzavano alimenti scarsi, che il fondo era bruciato e non si pulivano i forni, ci fu la ribellione a Napoli. Fummo contestati aspramente, ma mostrammo che un altro modo di fare la pizza era possibile, ossia con farine non raffinate, olio extravergine, forni puliti o a gas. Da lì è nata la pizza contemporanea che ha riportato i pizzaioli napoletani nel mondo. E alla fine sono stati loro stessi a riconoscere un ruolo decisivo all’inchiesta di “Report””.
Tornando alla questione vino, un altro dei problemi affrontato sulla produzione attuale è che si tende a puntare troppo sulla quantità piuttosto che sulla qualità. “Controllare tutti i furbi in questo mondo è impossibile. E qualche anomalia nella gestione dell’ufficio repressione frodi c’è stata. Io credo però che il problema sia culturale - ha fatto notare Sigfrido Ranucci - di vino ne produciamo troppo. Con i nuovi metodi di trattamento non butti neppure un acino d’uva andato a male. Bisogna tornare a puntare di più sulla qualità, ma si deve partire dall’amore della terra dove si coltiva”.

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