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Tendenze - Quando "saper bere, è saper vivere": il vino diventa stile di vita. L'Italia, dopo la moda, corre nel mondo grazie alle sue migliori etichette
di Bernardo Lapini

Opinioni
Sempre più feeling tra vino, donne e giovani

Un piacere antico quanto l’uomo. Bere vino risponde prima che a un bisogno ad un desiderio edonistico ed a una forte spinta al superamento dei limiti sensoriali. Così usando il pensiero di Emile Peynaud, il più grande enologo dei nostri giorni, si può ben dire che “saper bere, è saper vivere”. Entrano in gioco nell’accostarsi a una bottiglia l’eleganza del gesto, la moderazione nel consumo, la cultura nella scelta, la personalizzazione del gusto. Esattamente come si fa con un abito, con un oggetto di desiderio. Chi oggi racconta, come fosse uno scoop, che il “vino ha cessato di essere un alimento per diventare uno status symbol” spiegando così il ritrovato interesse per il consumo consapevole di grandi bottiglie, dimentica che 3.000 anni fa alla corte di Micene accadeva lo stesso. C’era chi beveva male per tirare avanti e c’era chi, i patrizi, beveva benissimo per vivere ancor meglio. E del resto un arbiter elegantiarum tale non era se non conosceva l’arte del gustare e dello scegliere.
Nessuno stupore, dunque, che oggi vini e moda facciano parte dello stesso stile di vita, dello stesso business e che vignaioli in tutto il mondo siano considerati al pari delle griffes della moda: Angelo Gaja, con i suoi Sorì, Piero Antinori, con il Solaia celebrato dalla grande critica “a stelle e striscie”, Vittorio Moretti, il signore delle “bollicine” Bellavista, i Frescobaldi, che in joint venture con gli statunitensi (ma di origine italiana) Mondavi hanno Luce e Ornellaia, i Biondi Santi, la storica cantina dove è nato il Brunello di Montalcino, gli Incisa della Rocchetta, creatori di quel cult che risponde al nome di Sassicaia, le famiglie Mazzei e Ricasoli, etichette di lusso di quel Chianti Classico tornato ai massimi splendori. Ed ancora i veneti Allegrini, Dal Forno, Quintarelli, Zonin, Masi e Bisol, i siciliani Tasca d’Almerita, Planeta e Rallo (Donnafugata), i calabresi Librandi, i trentini Lunelli con il loro “Ferrari”, i campani Ercolino-Capaldo con Feudi di San Gregorio ...
Non c’è quindi da stupirsi se per una magnum di Sagrantino di Montefalco “25 Anni” di Caprai, vestita dallo stilista Roberto Cavalli, l’attrice Sharon Stone non ha esitato a spendere tanti milioni di vecchie lire pur aggiudicarsela ad un’asta di beneficienza per un’istituzione culturale di Firenze. A ben vedere il made in Italy viaggia sulle gambe del buon gusto declinato in passerella, in cantina e in cucina per i mercati del mondo ottenendo lusinghieri risultati. Negli Usa le etichette made in Italy - i portabandiera sono soprattutto toscani, piemontesi, veneti e siciliani - hanno un grande fascino ed i vini tricolore sono stati i più acquistati (davanti agli australiani e ai francesi, in testa fino a pochi anni orsono). Non è traguardo da poco, dato che è il mercato più importante del mondo, che ormai le enoteche assomigliano sempre più a dei veri e propri show-room ed i prezzi delle etichette di pregio sono quelli di un capospalla dei migliori couturier. Ma anche nel lessico wine & fashion sono sempre più intimamente legati. Si fa un gran parlare del vintage, cioè di quello stile che si richiama alle mode retrò. Be’ se a un solido esperto di bottiglie parlate di vintage egli vi chiederà a quale annata volete riferirvi, a quale vendemmia.
Il tempo che passa per un grande vino non è mai un danno: ci sono, del resto, bottiglie che si sono rivalutate anche del novecento per cento in dieci anni (anche l’esempio è valido solo per pochissime prestigiose etichette di Barolo, Brunello di Montalcino e di qualche superstuscans), raggiungendo quotazioni paragonabili ad opere d’arte nelle aste di Christie’s e Sotheby’s. Anzi, proprio, questa tendenza “vintage” oggi ha dato al vino un ulteriore atout per essere trendy. Il vino richiama insomma la natura, evoca l’eleganza delle cantine, stimola immagini di aristocrazia rurale, diventa veicolo di (ri)scoperta delle nostre radici e occasione di incontro.
Seguendo questo richiamo vintage si cominciano a scegliere vini da vitigni autoctoni, molto personali come il Brunello di Montalcino (i protagonisti ? Biondi Santi, Soldera, Castello Banfi, Salvioni, Fuligni), il Chianti Classico (Fonterutoli, La Massa, Le Corti, Ama, Ricasoli), la Barbera (Bologna, La Spinetta, Chiarlo), il Barolo (Giovanni Conterno, Bruno Giacosa, Rinaldi, Bartolo Mascarello, Roberto Voerzio, Sandrone, Ceretto, Marchesi di Barolo), il Nero d’Avola (tra tutti il Deliella del Feudo di Butera, creato da Gianni Zonin, ed ancora Cusumano, Firriato). O tra i bianchi - che stanno risalendo nel gradimento - spuntano Tocai (Schiopetto, Venica, Felluga), Ribolla Gialla (Josko Gravner), Gewurztraminer (San Michele Appiano, Termeno, Hofstatter), Vermentino (Argiolas, Santadi, Capichera) e Verdicchio (Umani Ronchi, Bucci, Bonci). Così come i passiti, i vini da meditazione, che siano il Passito di Pantelleria (Ben Rye di Donnafugata e Khamma di Murana), il Vin Santo Toscano (un capolavoro l’Occhio di Penice degli Avignonesi) o Malvasia di Salina sono ormai compendio di sigari, cioccolata e salottieri conviti. Fanno tendenza, che viene confermata anche nell’esplosione di degustazioni, corsi, stages, seminari, realizzati da wine-bar, enoteche, associazioni ... .
Ma oltre ad aver riscoperto in questi anni le peculiarità delle varietà autoctone (o tradizionali) - dal Sagrantino al Barbera, dal Sangiovese al Nero d’Avola, dal Montepulciano al Refosco dal Peduncolo Rosso - il “made in Italy” in cantina è anche aver portato vini d’impostazione internazionale (cioè con forti percentuali di merlot e cabernet) ad essere premiati dal Wine Spectator, una sorta di bibbia del vino negli Usa, come i migliori del mondo per la loro “inconfondibile italianità”. E’ accaduto addirittura, per due anni di fila, con Solaia e Ornellaia: ed è quella solarità mediterranea che, oggi, giovani e donne, i veri nuovi consumatori di vini di qualità, vanno cercando nelle nostre bottiglie che sono frutto di una grande terra, di una tecnica d’avanguardia, di una millenaria tradizione e di una raffinata creatività. Se non è la moda, gli assomiglia molto.

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