Un territorio con tre frecce nell’arco: due in rosso (il Valpolicella e il big Amarone) più il crossover bianco col Soave. Una Tenuta. E quattro fratelli con un obiettivo preciso in testa, tanto da tradurlo in etichetta in greco antico, a rimarcare che la loro è quasi una filosofia: Télos si chiama dunque la linea immagine di Sant’Antonio. Figlia d’una ricerca di anni (“e – spiega Marco, dei quattro l’enologo – tanto vino buttato perché non perfetto”) e di un’esigenza d’attualità che è, sì, “market oriented”, ma anche frutto di vera convinzione: quella di voler smascherare il più possibile i vini perché raccontino appieno terra e uve. E allora: via i fosfati e i variamente discussi solfiti, e no a lieviti tecnici. Ma coprendo ogni passaggio con gas inerte e mai abiurando pulizia e integrità. E misurando sulla longevità evolutiva l’ottenimento dell’obiettivo. Centrato. Se i Télos bianchi hanno naso fine, bocca armoniosa e, assaggio alla mano, si bevono alla grande le edizioni dalla 2012 alla ‘17 (la 2018, bambina, è in arrivo tra poco) dipanando un fil rouge di sensazioni che vanno secondo millesimo dall’arancia bionda più o meno dolce e matura, o “agrumosa” e fresca (nel ’17), a note intense e schiette di erbe officinali e macchia mediterranea. Chiude il cerchio un prezzo misurato su qualità e lavoro speso. Col piacere di poter scegliere - mai delusi - quale annata aprire.
(Antonio Paolini)
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