
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume o mare, le acque sono sempre in perenne movimento: sarà questo il mistero che sta alla base dell’affinamento delle bottiglie di vino nel silenzio immobile delle profondità marine o lagunari? L’affinamento subacqueo è oggi una pratica che incuriosisce e affascina, nata come esperimento tecnico e diventata, in molti casi, una vera forma narrativa capace di raccontare il vino in un modo nuovo, legato alla terra, ma modellato dall’acqua. Accade anche in Veneto, nella Laguna di Venezia, via di comunicazione, fonte di approvvigionamento e cornice simbolica della città più bella del mondo con le acque basse che le permisero di difendersi, ma anche di commerciare, costruire navi, dialogare con l’Oriente. Dalle Crociate al Rinascimento, dalle guerre contro i Turchi alla decadenza settecentesca, la Laguna non è mai stata solo uno sfondo, ma un palcoscenico che, ancora oggi, è in grado di affascinare i milioni di turisti che ogni anno arrivano in visita. Ed è in queste acque che ha preso vita l’ultimo progetto italiano di “underwaterwines”: “Sansonina in Laguna”, che ha visto 100 magnum di Trebbiano di Lugana della griffe Zenato maturare per 16 mesi a 8 metri di profondità a Sud di Venezia, oltre la Giudecca, e, in questi giorni, riemergere dalle acque.
Un gesto tecnico, ma anche poetico, che unisce la forza geologica delle colline moreniche del Lago Garda al mistero marino della Serenissima. Il risultato è un vino che cambia volto: la costanza termica, l’assenza di luce, il movimento appena percettibile delle correnti e la pressione atmosferica esercitano un’influenza sottile, ma decisiva sul profilo organolettico. Il vino acquista tensione, sapidità, una mineralità più pronunciata e soprattutto una grandissima freschezza, come se l’impronta del clima sottomarino si imprimesse nel vino. La bottiglia porta con sé un pezzo del paesaggio da cui proviene. Alla base del progetto c’è l’amore e il profondo legame con il territorio della famiglia Zenato, in particolar modo di Nadia Zenato, anima sensibile della storica maison vinicola della Valpolicella e del Lugana che ha preso in mano la Sansonina, storicamente legata alla produzione di Merlot. “Questo è un progetto che mi emoziona - racconta, a WineNews - lo abbiamo voluto fortemente per vedere come un nostro bianco, in questo caso appunto il Sansonina, potesse diciamo evolversi e affinare nella Laguna Veneziana, quindi nelle acque di Venezia dove Venezia rappresenta per l’eccellenza una delle città più conosciute al mondo. Io amo questa città e la forte identità di questo territorio unico, e abbiamo voluto con la vendemmia 2021 affinare 100 bottiglie del nostro magnum, con fermentazione spontanea. La bottiglia è veramente qualcosa di unico, di magico, di spettacolare che porta sul vetro, visibile da tutti, il legame intimo con la Laguna. Mi interessa la parte relativa alla materia: dentro abbiamo un liquido, il vino che viene dalla natura, viene dall’uva e qui abbiamo questa acqua, che ha cullato queste bottiglie e queste onde che cingono un capolavoro dell’umanità come Venezia con il suo movimento incessante da epoche, da ere. Queste bottiglie sono rimaste in acqua per circa 16 mesi a circa 6-8 metri sotto il livello del mare con l’escursione d’inverno e d’estate. Per chi ama e conosce Venezia c’è la possibilità di portarsi a casa qualcosa che spontaneamente è nato qui, non è solo la maschera souvenir, la maglietta. Inizieremo la distribuzione a settembre. Prima di presentarlo ovviamente abbiamo voluto fare delle prove per capire l’evoluzione come andava e come procedeva. Il Lugana si presta ad essere un vino minerale, non un vino con una certa acidità e diciamo l’affinamento non dà altro che la speranza che diventi una bottiglia in grado di avere una vita lunghissima nel tempo”.
Ma Venezia non è un caso isolato. In tutto il mondo, le acque si stanno trasformando in cantine sommerse. Tra i pionieri del settore, merita una menzione particolare Jamin Under Water Wines, la prima società italiana ad aver investito sui vini subacquei, e ad aver ottenuto il primo brevetto al mondo, fondata da Emanuele Kottakhs e guidata da Antonello Maietta (con il quale WineNews ha analizzato il trend), e che, per prima, ha trasformato i fondali nell’Area Marina Protetta di Portofino, in una cantina subacquea vera e propria, a partire dallo Champagne. Le bottiglie vengono adagiate a circa 60 metri di profondità, in gabbie metalliche progettate per resistere a correnti e pressioni elevate. L’assenza di luce, la temperatura costante e il moto ondoso contribuiscono a una maturazione lenta e originale, che arricchisce il profilo aromatico del vino. Jamin non si è limitata alla sperimentazione: ha costruito intorno a questa pratica una narrazione estetica e scientifica, insieme a studiosi, nuove tecnologie ed università, ed ottenendo riconoscimenti per la qualità dei prodotti e l’innovazione del metodo. Oggi collabora con diverse cantine in Italia per offrire versioni “underwater” delle loro etichette, creando una collezione unica che coniuga terroir, tecnologia e fascino marino: la rete conta già molte cantine sottomarine affiliate alla capofila di Portofino, da Ravenna a Termoli, da Acquappesa a Scarlino, da Pescara a Bellagio, passando per Ischia, con realtà come Tenuta del Paguro, che affina il Sangiovese nei fondali del Mar Adriatico in Emilia-Romagna, Antonio Arrighi, che, all’Isola d’Elba, produce Nesos, il “vino marino” che riporta alle imprese enologiche dei Greci dell’isola di Chio, la start-up Cobalto con “LeProfondità”, ad oggi la più grande cantina subacquea italiana, a Termoli, e, tornando in Liguria, c’è anche il primo vino dolce al mondo affinato sott’acqua, lo Sciacchetrà delle Cinque Terre della cantina Possa.
Ma, tra gli altri, si possono citare anche Audace, il Prosecco Doc Trieste Serena Wines 1881 e Parovel 1898 affinato sott’acqua nel Golfo di Trieste, Paololeo che ha immerso il suo Mormora, Metodo Classico Pas Dosé da due varietà autoctone da riscoprire, la Verdeca e il Maresco, nel mare di Puglia, o Benanti e Passopisciaro che hanno inabissato l’Etna Doc, ovvero i vini che nascono su un vulcano attivo, nell’area marina protetta dell’Isola dei Ciclopi in Sicilia.
In Francia, nella baia di Saint-Malo, la Maison Leclerc Briant affina il suo Champagne Abyss a 60 metri di profondità. La Maison Drappier ha scelto, invece, il Canale della Manica per il suo Brut Nature Immersion, e Veuve Cliquot il Mar Baltico. In Spagna, nelle Rías Baixas, Attis fa maturare l’Albariño nell’Oceano Atlantico, mentre lungo la costa basca, c’è l’esperienza della Crusoe Treasure. In Portogallo, Ocean Fathoms lavora su cuvée oceaniche lasciate sotto la superficie per oltre un anno. In Argentina, nella Patagonia atlantica, la cantina Wapisa ha condotto un esperimento su 1.500 magnum di Malbec lasciate 9 mesi nel Golfo di San Matías. In Croazia, Coral Wine fa maturare bottiglie, ma anche anfore, ornate da concrezioni marine nei fondali dell’isola di Pag. In Grecia affina parte dei suoi vini la celebre cantina Gaia Wines. E in Germania, lungo la Mosella, alcune cantine stanno testando l’affinamento in acqua dolce con il Riesling. E solo per fare alcuni esempi.
Perché non si tratta di folklore. Le ricerche mostrano che l’ambiente subacqueo offre reali benefici: temperatura stabile, protezione dalla luce, pressione costante, umidità elevata e micro-movimento. Tutti elementi che rallentano l’evoluzione del vino, favorendo una maturazione più graduale e una maggiore integrazione tra componenti aromatiche. In degustazione, molti dei vini affinati in mare mostrano un profilo più rotondo, più complesso, spesso con una spiccata verticalità. Eppure non è solo questione di chimica o fisica. Per molti produttori, il vino sommerso è anche una dichiarazione poetica. Un modo per mettere in dialogo elementi naturali, per raccontare un’identità territoriale in modo nuovo. Affinare un vino nella Laguna di Venezia, ad esempio, significa rendere omaggio a una città che da secoli convive con l’acqua e ne accetta le regole. Significa valorizzare il “paesaggio liquido” del Veneto, in un’epoca in cui l’agricoltura cerca nuovi orizzonti espressivi. E in un mercato del vino sempre più affollato e competitivo, l’affinamento in acqua rappresenta una frontiera da esplorare. Non come trovata di marketing, ma come spazio di ricerca, di racconto, di sperimentazione vera. Lontano dalla luce, nel buio profondo, il vino ascolta. Cambia. E quando riemerge, ha qualcosa in più da dire.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025