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Vino: distribuzione, se si rompe la cinghia !
di Guardiacampo

Sostiene Pereira (e per dare un po’ di sapore letterario a questa nota che, altrimenti, nella sua arida concretezza d’argomenti non ne avrebbe affatto, uso volentieri il nome di comodo di Pereira al posto di quello del notissimo enotecario della mia città che mi ha fatto le sue rimostranze), sostiene dunque Pereira che la distribuzione di vino in Italia fa praticamente schifo. Lui non lo dice così, perché è una persona forbita, ed educata in un periodo in cui, comunque, le cose anche spiacevoli si dicevano in un certo modo. Ma il succo è praticamente questo.

Si oscilla, sostiene Pereira, tra l’inefficienza e la pressione indebita. Quest’ultima viene adoperata sempre più sovente per appiccicare al vino che si desidera acquistare un trenino di altri vini che non c’entrano un piffero. E passi se, come capitava per lo più una volta, tentassero di appiccicare ad un bel vino toscano una certa quantità (e con discrezione) di casse di toscanelli di minor pregio. Ma adesso, con gli incroci di distribuzione, di import-export, di proprietà diffuse sul territorio e di onde migratorie convulse di produttori trentini in Puglia e campani in Val d’Aosta, succede, sostiene Pereira, sempre più spesso che per comprare un toscano tocchi in teoria comprare uno champagne che costa quasi di più, per comprare uno champagne tocchi comprare un Fiano e un ungherese, e (ultima novità delle serie) se vuoi comprare il Fiano può capitarti di sentirti dire, sostiene Pereira, che devi comprarti anche dei bicchieri. In agguato, con la differenziazione d’attività in corso, e con l’entra-ed-esci dal mondo del vino di persone che vengono da tutt’altri campi dell’imprenditoria, c’è a questo punto la possibilità che per mettere in scaffale sei (e diconsi sei) bottiglie di un Rosso dell’Ovest o di un Bianco dell’Est tu debba comprarti qui uno stock di valige griffate, lì una polizza d’assicurazione vita, e là un monolocale in multiproprietà a Mentone. Che in fondo, sostiene Pereira, tra le tante belinate di cui sopra potrebbe essere almeno - forse - un investimento.

Quel che Pereira sostiene, peraltro, non è il solo a sostenerlo. A lui fanno coro, per gli stessi, ma anche per altri motivi, stuoli sempre più fitti di bravi ristoratori, ligi al comandamento del regolamento della Nridq (nuova ristorazione italiana di qualità) e al grido di richiamo dell’Uccello Guida, affascinante volatile che compie il suo giro annuale di accoppiamento con i gourmet un po’ prima di Natale, i quali impongono di munirsi di una buona cantina, e di una ottima lista dei vini. Essi ci provano, e acquistano, sostiene Pereira, che peraltro ne fornisce alcuni, quanto possono (ma non possono più tantissimo, vuoi per motivi di anticipo di danari sempre più massivo, visti i prezzi dei vini, che dio li benedica, sia per mancanza di luoghi adeguati di stoccaggio, introvabili o di costi spaventosi soprattutto nei centri storici della grandi città). Ma spesso, pur volendo, neanche ci riescono a comprare. Primo, perché non ricevono le annate del vino ordinato, ma quella antecedente o successiva, essendo quella ordinata (e premiata...) improvvisamente indisponibile; e occorre allora armarsi di pazienza, e tenere, o coraggio, e far venire a ricaricare (al buio, perché poi magari anche l’annata dopo sarà premiata e il rappresentante non gliela darà più). Secondo, perché alcuni rappresentanti plurimandatari (e sono ormai i più) tentano la vendita trasversale plurimarca ("se vuoi Castel Tale di Tizio okay, ma devi prendere anche un po’ di Vigna Sempronio di Caio, guarda che l’ho appena preso, ma è fantastico"), e sono (sostiene Pereira che di rappresentanti ne ha visti migliaia) i più fessi, perché non andranno lontano e perderanno presto i migliori affidatari, una volta colti con il sorcio in bocca. Terzo, perché, posto anche che siano disposti a comprare ad libitum, pagare a sei mesi (ma c’è chi vuole i dané prima) e pazientare, i suddetti ristoratori non trovano mai nessuno che acconsenta a tenere per loro il vino in un posto acconcio, e scaricarglielo un po’ alla volta quando loro serve; nessuno, sostiene Pereira, tranne quelli come lui, che un po’ lo fa, e tiene per questo un autista con camioncino a disposizione anche il sabato sera per le emergenze, ma che ovviamente non può vendere a prezzo di rappresentante, vuoi perché lui dal rappresentante compra (Fiano & bicchieri, champagne e SuperToscano, ecc...), vuoi perché poi il camioncino e l’autista chi li paga?
La morale è che il sistema eno-logistico (??) all’italiana ha preso dai francesi il peggio (la “piramide di Petrus”, ordina uno e compri 500) senza aver mai adottato il meglio (i negociants, delle primeur decenti, la produzione su scala accettabile, la serietà nel mantenere le prenotazioni). Questo sostiene Pereira.


P.S. - E in buona parte, anche se non del tutto magari, quel che sostiene Pereira, lo sostengo anch’io ...

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