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VERSO ORIENTE

Il mondo del vino celebra l’anno del Bufalo, ma in Italia l’interesse per la Cina sembra scemare

Gli esempi di Castiglion del Bosco e Feudi San Gregorio. Dopo il crollo del 2020 bisogna recuperare, sfruttando le difficoltà di Francia e Australia

La Cina entra nell’anno del Bufalo, simbolo di prosperità, che nasce dalla forza e dal lavoro, di sicuro un buon auspicio, specie dopo un 2020 a dir poco faticoso. Che, comunque, Pechino ha saputo affrontare nel migliore dei modi, chiudendo con una crescita del Pil del +2,1%, che fa del gigante asiatico la locomotiva dell’economia mondiale. Una locomotiva a cui è fondamentale restare agganciati, nonostante oggi sia, fisicamente, inavvicinabile. Anche per il comparto del vino, che tanto ha investito, in termini di promozione, su un Paese tanto promettente quanto complesso, in cui tanto le aziende quanto i Consorzi si sono spesso mossi in maniera disarticolata. Il risultato è che nei primi 10 mesi del 2020 (sperando in un miglioramento a dicembre), le spedizioni di vino italiano verso la Cina si sono fermate, a valore, a 70 milioni di euro, in calo del 28,3% sullo stesso periodo del 2019.
Una performance preoccupante, ma in linea con la maggior parte dei nostri competitor.
Il vero limite del vino italiano, in effetti, è il punto di partenza: la Cina, ad oggi, è appena l’undicesimo mercato, superata in un solo anno da Austria, Russia e Norvegia. Poco, troppo poco, per un Paese dalle potenzialità illimitate, in cui la concorrenza è sì senza esclusione di colpi, ma anche in enorme difficoltà. La Francia, dal 2018, paga lo scotto della stretta alla spesa pubblica per fine wine ed altri beni di lusso, e sull’Australia, da dicembre, gravano dazi talmente alti da rischiare di azzerarne le spedizioni. Tutti segnali che dovrebbero spingere le cantine italiane a muovere, con una strategia condivisa, alla conquista della Cina. E invece, proprio l’anno del Bufalo, iniziato il 12 febbraio, segna la distanza, profondissima, che ancora ci separa da Pechino. Sulle bacheca social della stragrande maggioranza delle aziende e dei Consorzi del vino più importanti del Belpaese, non c’è traccia di quello che, in Cina, è il giorno più importante.
Le eccezioni, ovviamente, ci sono, ma la sensazione è che l’attenzione per una cultura distante ma tutt’altro che imperscrutabile, specie in un’epoca come quella che stiamo vivendo, in cui nessuna distanza è realmente incolmabile, sia davvero troppo bassa. Chi invece ha deciso di guardare con attenzione a Oriente, sin dal 2013, è Castiglion del Bosco, la griffe enoica di Massimo Ferragamo, che alla Cina ha dedicato la “Collezione Zodiaco”. Ogni anno, una selezione di Brunello di Montalcino Riserva, in magnum, viene interpretata da un artista diverso, e declinata in base al segno zodiacale cinese: ad interpretare il “Bue”, Fiona Corsini, artista “di famiglia”, molto legata ai Ferragamo. Anche Feudi di San Gregorio, azienda di riferimento dell’Irpinia enoica, ha pensato ad una limited edition, un Irpinia Aglianico Doc con un’etichetta dedicata all’anno del Bufalo.
Nel resto del mondo, invece, i grandi player del vino sono ormai abituati a celebrare il Capodanno cinese, e alcuni lo fanno in grande stile. Come la più prestigiosa delle cantine australiane, Penfold’s, che in Cina gode di enorme popolarità, e che per l’anno del Bufalo ha lanciato una edizione ad hoc del Bin 389. Dal variegato mondo dello Champagne, una griffe come Billecart-Salmon ha pensato invece ad un astuccio celebrativo firmato dall’artista Lin Ke per il suo rosé. E poi c’è chi ha gioco facile, come il gigante spagnolo Torres: il Sangre de Toro è una delle denominazioni più popolari, anche in termini di prezzo, e l’etichetta (per quanto il toro non sia il bufalo ...) ha avuto bisogno solo di un piccolo restyling. E poi, solo per fare qualche altro esempio, c’è il “Big Bull Merlot” di Auswan Creek, o la “Limited Edition Ox Shiraz” di Chateau Tanunda ed il “Mighty Ox Shiraz” di St. Hallett, non a caso tutte dalla vicina Australia.

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