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GREEN PASS

Fipe: il Green Pass è un errore, i ristoratori non possono sostituirsi ai pubblici ufficiali

A WineNews Aldo Cursano, vice presidente Fipe/Confcommercio: “l’unica cosa che possiamo fare è informare a dovere i nostri clienti”
ALDO CURSANO, BAR, FIPE CONFCOMMERCIO, GREEN PASS, RISTORANTI, RISTORAZIONE, Italia
Dopo i limiti a tavola, il Green Pass

Da un anno e mezzo la pandemia, il virus e tutto ciò che la riguardano è entrato, con il suo lessico, nelle case e nella quotidianità degli italiani. Parlare di varianti, ultima la famigerata Variante Delta - o per meglio dire Variante Indiana - è un po’ come parlare di calcio, solo che le conseguenze ed i rischi sono decisamente diversi. Tanto che, con la ripresa dei contagi (ma non dei ricoveri, né dei morti, almeno per ora), il Governo ha deciso nuove misure di cautela. Volte da una parte a prevenire, dall’altra ad accelerare con le vaccinazioni, cui è vincolato il rilascio del Green Pass, fondamentale, dal 6 agosto, per andare in cinema, teatri, stadi, palestre, ma anche ai tavoli di bar e ristoranti, almeno all’interno. Una misura che, dopo poche settimane di ritrovata normalità, torna a limitare il lavoro della categoria più penalizzata dalla pandemia, a cui viene chiesto non solo un nuovo sacrificio, ma anche di vestire i panni di controllori, tema su cui la categoria, come racconta a WineNews Aldo Cursano, vice presidente Fipe/Confcommercio, non farà sconti.

“Il tema fondamentale, in questo momento, è quello della funzione di controllo, che rigettiamo nel modo più assoluto. Non si può chiedere ai ristoratori di ricoprire un ruolo che è giuridicamente impossibile da ricoprire, e che comporta la richiesta e la verifica di documenti personali. Dopo aver subito questa ulteriore discriminazione, l’unica cosa che possiamo fare è informare il pubblico, con la cartellonistica adeguata, in cui si informa che il consumo al tavolo è riservato ai possessori di Gren Pass, niente di più. Chiunque va a sedersi all’interno, come chiunque si mette alla guida di un’automobile, si presume che abbia il Green Pass - spiega Cursano - e noi non possiamo assumerci una responsabilità che è competenza di un pubblico ufficiale: per verificare la veridicità del Green Pass bisognerebbe chiedere di esibire un documento e verificare l’identità dei nostri clienti, e questo non può assolutamente farlo un ristoratore. Questo è il tema vero, che in conversione di legge tenteremo di ricondurre alla responsabilità dei singoli, allo stesso modo in cui non abbiamo certo chiesto l’albero genealogico per verificare che le persone al tavolo fossero effettivamente dello stesso nucleo familiare. La funzione di controllo compete solo alle autorità, noi dobbiamo solo mettere il cliente nella condizione di capire che all’interno il consumo è riservato ai possessori del Green Pass”.

Ciò che lascia maggiormente perplesso Aldo Cursano, e con lui i ristoratori italiani, è che “la misura riguarda solo i ristoranti, come se nelle mense aziendali il virus non circolasse, così come nei ristoranti degli alberghi, o in quelli degli stabilimenti balneari. Chiunque può tranquillamente andare in vacanza, prendere mezzi di trasporto, andare in albergo, in spiaggia, fruire di ogni servizio, ma per andare al ristorante ci vorrà il Green Pass. E allora, qui nasce la contestazione: si fanno figli e figliastri, nonostante l’errore fatto lo scorso inverno, quando bar e ristoranti italiani rimasero chiusi dal 25 ottobre 2020 al maggio 2021, e solo all’aperto, con i contagi ed i morti che hanno continuato a crescere in maniera esponenziale. Abbiamo fatto sacrifici che non hanno portato a nulla, specie se paragoniamo i dati dell’Italia con quelli di Paesi che hanno tenuto aperti bar e ristoranti, e adesso si fa un altro errore, ed è un peccato, perché con le Regioni avevamo condiviso una linea diversa e condivisa, in cui si diceva che in zona bianca il Green Pass sarebbe dovuto essere uno strumento per riaprire ciò che era chiuso, come le discoteche, o per aumentare la capienza di cinema, teatri, palestre, stadi. Doveva essere uno strumento positivo, non negativo, da usare semmai come discriminante in quelle Regioni che, casomai, dovessero finire nelle fasce di rischio, un valore aggiunto”.

 

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