Il vino italiano punta sull’estero per rilanciarsi, ma l’attenzione è ormai rivolta quasi esclusivamente sull’Estremo Oriente, in particolare sulla Cina, dove le nostre aziende si trovano a competere duramente con i grandi vini francesi per ritagliarsi una nicchia di mercato. Perché non guardare dall’altra parte del mondo, devono aver pensato i sette produttori che si sono consorziati nel progetto “Sud America”: la veronese Santa Sofia (che produce anche un importante Amarone della Valpolicella, ndr) in prima linea, con il direttore commerciale Luciano Begnoni a capo dell’ambizioso progetto, accompagnata dall’abruzzese Zaccagnini, dalla siciliana Morgante, dalle piemontesi Costamagna e Borgo Maragliano, dalla friulana Marco Felluga e dalla laziale Falesco, tornati dalla Fiera internazionale del vino italiano per i mercati latino-americani e caraibici, di scena a Cuba, con ottime impressioni.
“È inutile andare tutti in Cina lasciando scoperto un intero Continente - spiega Luciano Begnoni - che con noi condivide uno stile di vita, specie a tavola, pressoché identico. È vero che in Sud America si produce tanto vino, ma c’è spazio anche per noi, almeno con i vini di bassa e media gamma, massimo 5 euro a bottiglia: certo - continua Begnoni - chi crede di andare ai Caraibi a vendere top wine è meglio che rimanga a casa”.
Non che l’Italia non sia già presente in Sud America, il Brasile del resto si sta arricchendo talmente in fretta, da garantire un target di consumatori di livello sempre più ampio, eppure, l’idea di fare base a Cuba, “un’opportunità nata da una fitta rete di rapporti, in cui - spiega ancora Begnoni - le tante fiere di settore a cui ho preso parte sono state fondamentali”, e di proporre l’ottimo vino italiano in Paesi commercialmente considerati marginali, come Costa Rica, Panama, Colombia, o solidi ma “insignificanti” ai più, come Messico e Portorico, non è solamente il frutto di un pensiero originale ed anticonformista, ma anche di una strategia commerciale ponderata e, ci auguriamo, vincente.
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