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VINO & LEGGE: I CONSORZI DI TUTELA AGISCONO “ERGA OMNES” MA DOVREBBERO FARLO “INTER PARES”. UNA CRITICITÀ GIURIDICA ANCORA APERTA PERCHÉ “IL CONTRASTO C’È ED È IL LEGISLATORE CHE LO HA CREATO”, SPIEGA A WINENEWS PIETRO CAVIGLIA, PRESIDENTE UGIVI

Il tema, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 61/2010 che ridisegna il ruolo e la funzione di controllo e di tutela dei Consorzi, sembrerebbe ormai archiviato. Eppure, molto banalmente la questione mantiene ancora dei lati quanto meno poco definiti. I consorzi, in determinate condizioni, agiscono “erga omnes” cioè esercitano le loro azioni nei confronti di tutti i produttori anche i non associati, ma dovrebbero continuare ad agire solo “inter pares”, ovvero soltanto verso coloro che effettivamente fanno parte di quella associazione.
La questione, ancora non del tutto sciolta, è semplice: un’azienda vitivinicola che non fa parte per precise scelte strategiche di un consorzio di tutela, perché è obbligata ad aderirvi anche economicamente, sebbene in misura proporzionata ai servizi che riceve? “Potenza” dell’“erga omnes” oppure effettiva criticità legislativa?
Per l’avvocato Pietro Caviglia, presidente Ugivi (Unione Giuristi della Vite e del Vino) non ci sono dubbi: “il contrasto c’è ed il Legislatore che lo ha creato. I Consorzi sono restati volontari ma di fatto nel corso dell’applicazione della denominazione assumevano funzioni come da consorzi obbligatori”. Sarebbe stato meglio creare “dei consorzi obbligatori - continua Caviglia -similmente a come accade con i consorzi di bonifica e cioè: chi accede ad una Doc, accede automaticamente ad un sistema di controlli, come del resto attualmente avviene, e allora perché non creare consorzi obbligatori per il solo fatto di accedere ad una denominazione? In questo modo il sistema si sarebbe semplificato perché il consorzio obbligatorio avrebbe dovuto essere controllato dal Ministero dell’agricoltura, in grado di garantire una chiara imparzialità, che avrebbe evitato il di fatto doppio sistema di controllo attuale, uno obbligatorio ex-lege e l’altro ad opera del consorzio”. Insomma, anche da qui sarebbe potuta passare una semplificazione burocratico-organizzativa ed un abbattimento dei costi per le aziende, creando dei “consorzi regionali obbligatori, magari che si occupassero di più denominazioni, che avrebbero - conclude il presidente dell’Ugive - sgombrato il campo da una criticità giuridica che resta”.
Se le incongruenze generate dal precedente assetto legislativo (legge 164 del 1992 e, soprattutto, Decreto Ministeriale n. 256 del 4 giugno 1997), prima fra tutte, il dubbio che i Consorzi volontari di tutela costituiti in associazione potessero costruirsi in questa forma giuridica ai sensi dell’articolo 2602 del Codice Civile, sono state arginate con la sovrapposizione della legislazione comunitaria in tema di vini a quella delle altre Dop e Igp agroalimentari (in precedenza la legge n. 521del 1999, aveva solo in via interpretativa affiancato i Consorzi Doc/Docg a quelli Dop/Igp e, quindi, decretato la loro validità rispetto al Codice Civile), resta ancora aperto, risolto il problema formale, quello sostanziale, ovvero del pieno esercizio della libertà di scelta.

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