La crisi coronavirus è arrivata come una doccia fredda sul mondo e sul mercato del vino. Con una brusca frenata per le esportazioni del Belpaese enoico, che, invece, era partito di slancio. Marzo 2020 è stato un mese spartiacque per il commercio mondiale del vino, con l’Italia protagonista in positivo nel primo bimestre 2020 ma in ritirata a marzo, dopo la fine delle scorte anti-dazi statunitensi e in corrispondenza con l’inizio del lockdown da Coronavirus. A dirlo l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor nel focus rilasciato oggi sulle vendite di vino nei Paesi extra-Ue nel primo trimestre 2020. Nel complesso, le elaborazioni svolte su base doganale segnano un andamento globale a due facce tra i top buyer mondiali. Con gli Stati Uniti che, in previsione dell’aumento dei dazi aggiuntivi, fanno precauzionalmente incetta di prodotto e chiudono il trimestre con le importazioni dal resto del mondo a +10,9% a valore, mentre la Cina - in piena emergenza Covid-19 - segna un decremento delle importazioni che sfiora il 20% sul pari periodo 2019. Segue, stabile, la domanda mondiale di vino da Canada e Giappone e, in rosso, dalla Svizzera (-10,8%).
In tutto ciò l’Italia perde di meno in Cina (-13,3%) e guadagna di più negli Usa (+16,8%), con le vendite in Canada e Giappone ancora in terreno positivo dopo gli exploit del 2019, e con la domanda svizzera stabile.
“Due fattori esogeni come i dazi e la pandemia hanno prima favorito e poi penalizzato la crescita delle nostre esportazioni di vino - ha detto il dg Veronafiere, Giovanni Mantovani - basti pensare come negli Stati Uniti si sia passati da un incremento record a valore del 40% del primo bimestre ad una contrazione del 17,4% a marzo 2020. Nei prossimi mesi l’impatto della pandemia sui mercati internazionali sarà ancora più evidente, ma auspichiamo che questo autunno l’Italia possa essere la prima a ripartire proprio in Cina, laddove è iniziato con effetto domino il lockdown sull’on-trade del vino. In programma, la prima edizione del Wine to Asia di Shenzhen (9-11 novembre), oltre agli eventi di Vinitaly Hong Kong (5-7 novembre), e Chengdu”.Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini,“le vendite di vini fermi italiani nell’off-trade (gdo e liquor store) statunitense hanno raggiunto i 94 milioni di litri, che rappresentano solo il 40% delle importazioni totali della tipologia. Ora il quesito si pone su che fine farà l’altro 60% di vino fermo italiano e soprattutto se l’on-trade sarà in grado di ripartire con i ritmi precedenti. Da qui la necessità, specie per la fascia premium che è maggiormente penalizzata, di lavorare su un mix di canali che vedano protagonisti anche quelli dell’e-commerce, in forte crescita non solo negli Usa”. E sono proprio i vini di qualità superiore che sembrano accusare maggiormente la variazione negativa di marzo: in Svizzera il lockdown della ristorazione ha infatti portato a una contrazione del prezzo medio all’import del 14,6% sullo stesso mese 2019, negli Stati Uniti un calo del 10,5%, nella Cina del 9,5%, in Norvegia dell’11,5%. Una tendenza al ribasso, come riscontrato anche nella gdo italiana con la recente analisi voluta da Vinitaly, che vede in crescita i vini di fascia medio-bassa allo scaffale ma un progressivo ridimensionamento del valore medio alla bottiglia.
Quanto ai competitor, se l’off-trade è un terreno di agguerrita concorrenza con i vini australiani, cileni e statunitensi, la market leader Francia sembra accusare la congiuntura con maggiori difficoltà rispetto all’Italia, complice l’acuirsi delle difficoltà in Cina (-37,2% nel trimestre), la forte perdita in Svizzera (-24,6%) e la virata in negativo del Giappone. Bene invece, grazie agli sparkling, negli Usa, dove il timore dei dazi al 100% ha fatto lievitare le importazioni di Champagne a +93%.
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