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Agroalimentare: un quadro positivo al centro degli Stati Generali del mondo del lavoro Agrifood

La forza di un settore che vale il 25% del Pil, con fondamentali robusti, ma anche tante criticità, dal costo del lavoro alla burocrazia
agroalimentare, LAVORO, Non Solo Vino
Il made in Italy sotto attacco

La forza e la resistenza del sistema agroalimentare italiano, pur con tutte le sue complessità legate soprattutto alla dimensione delle imprese, alle carenze infrastrutturali del Paese e alla burocrazia, sono sotto gli occhi di tutti. Ed a rimarcarlo, nei numeri e non solo, sono anche gli Stati Generali del mondo del lavoro Agrifood, di scena da ieri al 29 ottobre, ad Alba (anche in diretta su Youtube e Facebook). Da cui, intanto, per un settore che, nel complesso vale il 25% del Pil nazionale, emerge un quadro sorprendentemente buono, come sottolineato da Lucio Fumagalli, presidente Insor - Istituto Nazionale di Sociologia Rurale: “forse per qualcuno è inatteso, ma lo scenario dell’agroalimentare italiano è molto positivo: i fondamentali sono robusti, pur nella vasta articolazione di modelli, competenze e specializzazioni che costituiscono la nostra ricchezza. Qui l’Italia sa fare sistema: dalla cultura del seme fino agli aspetti distributivi o di packaging, il settore dimostra la capacità di interconnettere le filiere in modo straordinario”.
Fumagalli ha messo l’accento anche sul contributo dei giovani imprenditori alla “demarginalizzazione” culturale dell’agroalimentare: attraverso le competenze apprese negli studi e applicate nell’attività aziendale hanno dato nuova dignità a un settore che da contadino è diventato a pieno diritto imprenditoriale. “L’agroalimentare è un ambito molto complesso perché estremamente multifunzionale - prosegue il presidente - ma offre una ricchezza di contenuti, sia a livello individuale sia di sistema, che sa attirare i giovani. Attenzione a non sgretolarne l’ambizione e a non rendere più difficile del necessario un mondo che è già faticoso di suo, con tentativi di linearizzazione delle capacità e delle personalità. Il mercato mondiale non vuole standardizzazione e la crescita dell’export vitivinicolo lo dimostra: +7% a volume, +15% a valore di fatturato”.
Un quadro positivo dipinto anche dai giovani, grazie alla “straordinaria spinta da parte di oltre 55.000 nuove aziende guidate da under 35, il +8%” dice Fabiano Porcu, dg Coldiretti Cuneo, “nelle quali è insita l’innovazione”. Ma, ovviamente, non mancano le criticità: costo del lavoro, burocrazia per l’impiego e assenza di manodopera, su tutti.
Ma, non ultima area di rischio, la tendenza comunitaria all’omologazione, direzione opposta rispetto alle tipicità che fanno del nostro agroalimentare un’eccellenza mondiale. L’auspicio comune è quello di ottenere, nell’ambito della distribuzione dei fondi previsti dall’Europa e dal PNRR, la giusta attenzione al settore, soprattutto nella direzione della sostenibilità (agricoltura 4.0) e della digitalizzazione.
“Il costo del lavoro è troppo alto in termini economici - afferma Luca Brondelli (Confagricoltura) - e di fatica burocratica. I centri per l’impiego non funzionano, le regole sono sempre più complesse e macchinose, la stessa legge sul caporalato prevede sanzioni pesanti alla minima svista. Inoltre, la pandemia ha ridotto l’accesso di lavoratori stranieri e il reddito di cittadinanza ha tagliato le gambe all’offerta di manodopera italiana”.
“L’omologazione è il vero nemico delle nostre eccellenze - ha aggiunto Fabiano Porcu (Coldiretti Cuneo) - che trovano origine proprio nelle tipicità. In rapporto alla Francia siamo a 1.500 tipologie di nostri vini contro 150 delle loro. Dobbiamo lavorare per la sostenibilità delle nostre eccellenze. Ma occorre anche un po’ di reciprocità. Se la produzione agroalimentare in Italia è sottoposta a regole stringenti, come è giusto che sia, così deve essere anche negli altri Paesi dell’Unione Europea. Altrimenti avremo tanti altri casi Prosek. Il nostro export vale 52 miliardi di euro a fronte di 100 miliardi in prodotti che sembrano/suonano italiani ma non lo sono”.
A chiudere le riflessioni è stata Giuliana Cirio, direttrice Confindustria Cuneo, che ha motivato l’ospitalità di Alba, con la sua nomina a Capitale della Cultura di Impresa per l’anno 2021: “abbiamo voluto creare un contesto culturale nel quale le aziende possano crescere, in una piccola cittadina circondata da una miriade di paesini legati tra loro nelle tante dimensioni dell’agroalimentare lungo tutta la sua filiera. L’attenzione alle materie prime si lega qui all’attenzione al capitale umano, come è nella scuola Ferrero. La produzione industriale a Cuneo cresce a due cifre e la disoccupazione è al 4%. Questa è la nostra capacità di reagire alla pandemia e protagonista ne è l’agrifood. Il Piemonte deve tenere conto nelle sue scelte future, specie in un momento in cui l’automotive vive qualche incertezza”.
Gli Stati Generali del mondo del lavoro Agrifood sono parte degli Stati Generali del mondo del lavoro, un format nato nel 2019 su impulso di Pier Carlo Barberis, con l’obiettivo di mettere in rete tutti gli attori appartenenti a settori chiave del lavoro e dell’economia in Italia. Gli Stati Generali si avvalgono della competenza di un Comitato tecnico-scientifico, che compsette ex Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali della Repubblica Italiana: Nunzia Catalfo, Tiziano Treu, Cesare Salvi, Roberto Maroni, Cesare Damiano, Maurizio Sacconi ed Elsa Fornero.

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