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Ad “EmiliaFoodFest”, la Mortadella Igp sul banco degli imputati: un’eccellenza a “processo”

Di scena, a Carpi, il confronto in cui si sono evidenziati pregi e difetti di uno dei salumi più amati dagli italiani

Assolta con formula piena. O forse, colpevole di essere troppo buona. La Mortadella Igp, eccellenza regionale dell’Emilia Romagna, è salita sul banco degli imputati al processo che è andato in scena, nei giorni scorsi, a Carpi, ad “EmiliaFoodFest”: nel ruolo del severo Pubblico Ministero Edoardo Raspelli, uno dei più noti volti della critica gastronomica, mentre il giornalista Lamberto Mazzotti era l’agguerrito avvocato difensore. I due si sono sfidati a suon di arringhe portando sul palco qualificati testimoni, favorevoli e contrari, per indirizzare la giuria ad un verdetto sull’imputata. Nel ruolo del giudice, chiamato a commentare e contrappuntare gli avvocati, Andrea Lucky Lucchetta, mito del volley nazionale. E, alla fine, il risultato è stato quello atteso, in cui la Mortadella Igp, uno dei salumi più amati dagli italiani, è uscita a testa alta dall’aula.
L’evento, dal titolo“Una Rosea per amica” (ideato e curato da Angelo Giovannini), ha replicato il fortunato format del “Processo allo gnocco fritto” del 2022. Testimoni di assoluta competenza hanno spiegato definizione tecnica, lavorazione e caratteristiche di questo insaccato di forma cilindrica o ovale, dal colore rosa e dal profumo intenso come ricordano definizioni che richiamano “la morbidezza di ogni singola fetta e la sua scioglievolezza” e l’evidenza che “una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa”. D’altro canto esperti di scienze dell’alimentazione, gourmet particolarmente raffinati e rappresentanti di pensieri alternativi al consumo di carne animale, hanno portato acqua al mulino del pubblico ministero, cercando di evidenziare le “colpe” dell’imputata dal loro punto di vista.
Tra le testimonianze a favore e contro la mortadella l’endocrinologo e specialista in scienze dell’alimentazione Carlo Bertoli, un rappresentante del Consorzio della Mortadella, l’autore ed esperto editoriale Simone Metalli, curatore di concorso e volumi sulla rosea, Massimiliano Ciri, direttore marketing Negri Salumi, l’allevatore Maurizio Ferri, da sempre sostenitore del benessere animale al servizio del gusto, l’artista Daniel Bund, nelle curiose vesti di assistente di Dylan Dog, per un pomeriggio impegnato a portare le tesi del noto investigatore indagatore dell’incubo, animalista e vegetariano, il medico sportivo Francesco Sala in rappresentanza del mondo dello sport e Stefano Reggiani, raffinato gourmet che ha tentato di stroncare la mortadella confrontandola con culatello, prosciutto e altri salumi più “nobili”. A completare e impreziosire la serie di contributi si sono visti il perito della corte, Pierluigi Roncaglia, che ha portato dati oggettivi ed elementi tecnici utili alla corte per entrare nella “psicologia” dell’imputata.
“Tu, rosea regina, dalla storia lontana nel tempo e già definita cibo nobile per le tue qualità eccellenti che ti facevano salume molto costoso, destinato alle tavole più importanti d’Europa, che fai oggi alla sbarra? Come sei finita imputata in questo pubblico processo?” Da qui ha preso il via il curioso dibattimento. Dicono gli storici che l’imputata era già nota e apprezzata dagli antichi, come dimostrano le due steli funerarie di epoca romana, ritrovate a Bologna, custodite nel Museo Archeologico, ma vi è anche chi ne fa risalire le origini all’antica Felsina etrusca e alla Bononia dei Galli Boi, ricchi di querceti che fornivano ghiande saporose ai numerosi maiali locali, selvatici e addomesticati. Verranno esaminati temi come le origini del nome, che dovrebbe significare “carne macinata nel mortaio”, il luogo di nascita, la prima ricetta di Vincenzo Tanara nel 1644, l’editto del cardinal Farnese del 1661 “Bando e provisione sopra la fabbrica delle mortadelle e salami”, un atto ufficiale che pare proprio la denominazione d’origine, che prevedeva l’esclusivo impiego di carne suina selezionata, stabilendo che non si potessero fabbricare mortadelle “d’altra sorta di carne, che di porcina”, documento col quale si tutelavano i produttori, la corporazione dei Salaroli, una delle più antiche di Bologna, che aveva per stemma un mortaio con relativo pestello; questa esigenza nasceva poiché all’epoca la mortadella era genere di lusso, molto costoso e riservato alla tavola delle famiglie benestanti.
Ritenendo poi insufficiente il primo editto, nel 1720 ne arrivò un secondo che comminava, a chi infrangeva le regole dettate, una multa da 200 scudi corredata da 3 nodi di frusta. Per lungo tempo la mortadella di Bologna fu un prodotto riservato a un’élite di buongustai, nobili e ricchi borghesi che potevano permettersi un salume dal prezzo elevato. Ancora all’inizio dell’Ottocento la mortadella costava tre volte più del prosciutto, e solo nel corso dell’Ottocento diventò prodotto accessibile a tutti, sinonimo di semplicità, potremmo dire democratico e popolare. Addirittura poi il panino con la mortadella si trasformò nel più amato spuntino degli operai. Ancora oggi, spesso, col suo colore originale, il suo profumo inconfondibile e il sapore deciso, l’imputata è impropriamente considerata un salume “povero”, invece ha tutte le caratteristiche della “regina rosa”.

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