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IN SICILIA

Lo chef Pino Cuttaia interpreta in un piatto la bellezza del “Cretto” di Burri di Gibellina

“Un omaggio alla forza della rinascita e al valore della memoria” simboleggiati dalla più grande opera di land art (raccontata in un video WineNews)

Un omaggio alla memoria e alla resilienza della Sicilia, con un piatto ispirato a una delle opere d’arte più potenti e rivoluzionarie del Novecento, tra le espressioni di land art più grandi al mondo: il “Cretto” di Alberto Burri a Gibellina Nuova, simbolo della rinascita, grazie alla bellezza, della comunità della Valle del Belìce, in Sicilia, devastata dal terremoto del 1968, e realizzata dagli anni Ottanta del Novecento da uno dei più importanti artisti italiani, conservando per sempre, sotto il cemento bianco in una sorta di sudario, le macerie della Vecchia Gibellina (una rinascita nella quale anche il vino ha un ruolo importante, come WineNews ha raccontato in un video, da uno dei nostri viaggi sull’isola). È questa l’essenza racchiusa nel dessert dedicato a quest’opera unica al mondo creato dallo chef siciliano Pino Cuttaia, due stelle Michelin a La Madia a Licata, in occasione di “Agrigento Capitale Italiana della Cultura” 2025.
Interprete profondo dell’identità siciliana, lo chef Pino Cuttaia ha sempre raccontato la sua terra attraverso la cucina, intessendo sapori, paesaggi e storie. Oggi lo fa con un dessert simbolico, un gesto gastronomico che celebra la forza della rinascita e il valore della memoria. Per lo chef, il paesaggio non è solo sfondo, ma ispirazione costante, un patrimonio da raccontare a tavola, perché, spiega Cuttaia, “chi cucina può attingere da un paesaggio caro e ricrearlo in un piatto. È anche questo un gesto culturale”.
Il dolce trae, infatti, ispirazione dal “Cretto” di Burri, la monumentale opera ambientale realizzata tra il 1984 e il 1989 (e completata nel 2015) dall’artista Alberto Burri sui resti di Gibellina Vecchia, distrutta dal terremoto che colpì la Valle del Belìce nel 1968. Una valle che si estende tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo, e che fu profondamente segnata dal sisma. Burri, su incarico del sindaco Ludovico Corrao, trasformò quel luogo in un’opera imponente e poetica: compattò le macerie del vecchio paese e le ricoprì con una colata di cemento bianco. Un lenzuolo di oltre 80.000 metri quadrati che ricalcano le strade del vecchio abitato. Un segno nella terra che trasforma la rovina in arte e diventa memoria viva.
Ed è da questa rinascita che Cuttaia ha trovato ispirazione per un dolce carico di significato e che porta lo stesso nome del luogo ferito: una crema alla mandorla su pan di Spagna con liquore alla mandorla, sormontata da una riproduzione autentica in scala del “Cretto”, realizzata con pasta di mandorle bianca. “Il “Cretto” è un segno nella terra, una cicatrice che racconta cosa è stato. Ho voluto trasformare quella tragedia in un gesto dolce, in una carezza per non dimenticare”, spiega lo chef.
Una rinascita dalle ceneri del cataclisma e dalla povertà, nella quale anche il vino ha un ruolo importante: è, infatti, nei vigneti attorno all’opera di Burri che nascono i vini delle Tenute Orestiadi (Cantine Ermes) - dal “PetraMater”, ribattezzato il “vino del Cretto”, ai Cru Sicilia Doc Riserva Ludovico, in onore di Corrao - e che, oggi, raccontano al mondo un territorio che ha trasformato i tempi difficili in energia. E che, dopo mezzo secolo dal primo grande disastro naturale dal secondo Dopoguerra - in un’epoca di tante catastrofi - ha vinto la sua scommessa, come dimostra anche il riconoscimento di Gibellina come prima “Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea” 2026 da parte del Ministero della Cultura.
Ma l’omaggio al paesaggio siciliano dello chef Pino Cuttaia prosegue con la “Scala dei Turchi” con il quale racconta un altro luogo iconico: la scogliera bianca tra Realmonte e Porto Empedocle, nell’agrigentino, fatta di marna e argilla, avvolta da storie e leggende. Il piatto diventa una visione marina: una sfoglia trasparente di calamaro ripiena di crema di ricci di mare, nascosta sotto una spuma all’“acqua di mare”. Alla vista, richiama una medusa eterea, ma al palato restituisce il gusto rassicurante del mare vicino alla terraferma.
Con questi piatti, Pino Cuttaia prosegue il suo racconto gastronomico della Sicilia: una terra che sa trasformare la fragilità in forza, la memoria in futuro, e il dolore in bellezza.

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