Che nel mondo del vino non ci siano più certezze di nessun tipo è un dato di fatto. E come dice il proverbio, “l’erba del vicino è sempre più verde”. Ma pensare che i francesi prendessero “a modello” gli italiani sul tema della promozione, dopo che, per anni, il ritornello nel Belpaese (ma forse un po’ passato di moda) è stato “dobbiamo imparare dai cugini francesi”, appare con un paradosso. Eppure è successo, come ha detto, nei giorni scorsi, Jérôme Bauer, ai vertici della Cnaoc (Confédération Nationale des producteurs de vins et eaux de vie de vin à Appellations d’Origine Contrôlées), che, in un evento, che ha fatto il punto sullo stato (critico) del settore in Francia, come riporta il sito “Vitisphere”, ha sottolineato, tra le altre cose, che “dobbiamo potenziare un po’ i nostri dispositivi di promozione interna e promozione nei Paesi terzi”, mentre “gli italiani investono oggi 100 milioni di euro all’anno nella comunicazione. Noi siamo a 40 milioni. Siamo davvero in ritardo: dobbiamo rafforzare questa dotazione. Dobbiamo lavorare molto di più sotto un’unica bandiera, “Vino di Francia”. Dobbiamo muoverci in gruppo, dobbiamo lavorare collettivamente. È quello che fanno gli italiani”.
Parole insolite, queste, vista la provenienza francese, che fanno quasi sorridere, lette in un’Italia del vino in cui in tanti contesti si sente dire che “dobbiamo fare sistema per la promozione del vino come fanno in francesi”, ma tant’è. Una riflessione, quella del presidente Cnaoc Bauer, che, però, come riporta il magazine francese, parte dalla consapevolezza di una “crisi senza precedenti”, che richiede misure straordinarie e metodi diversi, come quello tentato a “Le Grand Direct des Aoc”, evento-dibattito andato in scena nei giorni scorsi e costruito intorno a 1.000 domande formulate da 600 viticoltori, rivolte ad istituzioni ed addetti ai lavori.
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