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ESTATE 2023

Arancini, piadine e arrosticini: 7 italiani su 10 in vacanza scelgono lo street food

Un modo per assaggiare ricette tradizionali dei diversi territori, ma anche per far fronte al caro-prezzi, secondo Coldiretti

Dagli arancini siciliani alla piadina emiliana, dagli arrosticini abruzzesi alle olive ascolane, passando per la focaccia ligure, la polenta fritta veneta e i panini ripieni con i salumi locali: 7 italiani su 10 (70%) in vacanza quest’estate scelgono lo street food, non solo per assaggiare piatti tradizionali dei territori visitati, ma anche per risparmiare e far fronte agli effetti dell’inflazione. Emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè su un fenomeno favorito dal moltiplicarsi di sagre, feste ed iniziative di valorizzazione alimentare nei luoghi di vacanza.
Lo street food rappresenta per molti una valida alternativa per mangiare fuori in vacanza, anche per ottimizzare i tempi, sia nelle località turistiche che nelle città d’arte. Tra i vacanzieri che mangiano cibo di strada, ad essere nettamente preferito dall’83% è il cibo della tradizione locale italiana, mentre il 13% sceglie i cibi etnici come il kebab o felafel e il 5% quello internazionale, come gli hot dog.
Il fenomeno del cibo di strada ha radici molto antiche, che risalgono al tempo dei Romani, dove gran parte della popolazione era spesso solita gustare i pasti in piedi e velocemente in locali aperti in prossimità della strada. Per questo l’Italia, con le sue numerosissime golosità gastronomiche, può vantare una tradizione millenaria, come dimostrano le diverse specialità locali apprezzate dagli amanti dello street food: gli arancini siciliani, la piadina romagnola, le olive ascolane, i filetti di baccalà romano, gli arrosticini abruzzesi, la polenta fritta veneta, le focacce liguri, il pesce fritto nelle diverse località marittime e gli immancabili panini ripieni con le tipiche farciture locali che vanno dai salumi ai formaggi, senza dimenticare la porchetta laziale.
Alla crescita del fenomeno si accompagna però, paradossalmente, una preoccupante perdita del radicamento territoriale ed un impoverimento della varietà dell’offerta, ma anche il rischio di uno scadimento qualitativo con preoccupanti riflessi sul piano sanitario. Si assiste, in particolare, ad una progressiva tendenza alla vendita nei centri storici di alimenti lontani dalle tradizioni gastronomiche locali, con un appiattimento e una omologazione verso il basso che distrugge le distintività.
Il risultato è che i turisti trovano, da Palermo a Milano, gli stessi cibi di New York, Londra o Parigi, a scapito dei cibi più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale; dal kebab al sushi, dalla frutta esotica a quella fuori stagione, ma anche le caldarroste congelate, mentre per il baccalà fritto da passeggio a Roma, l’intruglio della Versilia o il panino e milza a Palermo i turisti sono costretti a cercare su internet o nelle guide.
A sostenere il percorso di qualificazione dell’offerta alimentare in questo settore ci sono i mercati degli agricoltori che, sottolinea Coldiretti, si sono diffusi in molte grandi e piccole città grazie alla Fondazione Campagna Amica, che ha realizzato la più vasta rete di vendita diretta a livello mondiale. Una realtà in grado di soddisfare anche le recenti tendenze salutistiche, con l’offerta di frutta presentata in tutte le diverse forme, dai centrifugati ai frullati, dagli smoothies ai pezzettoni, insieme alla classica fetta d’anguria. In questi mercati si trovano prodotti locali del territorio, messi in vendita direttamente dall’agricoltore, nel rispetto di precise regole comportamentali e di un codice etico ambientale, sotto la verifica di un sistema di controllo di un ente terzo.

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