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CONGRESSO SOMMELIER - ECCO PERCHÈ CAMPIONI DELLO SPORT, IMPRENDITORI AFFERMATI E ARTISTI SONO UNITI DA UN GRANDE COMUNE DENOMINATORE: LA PASSIONE PER IL VINO E LA TERRA ... LA STORIA DI CAPRAI, DAL TESSILE ALLA RINASCITA DEL SAGRANTINO DI MONTEFALCO

Campioni dello sport, imprenditori affermati e artisti, tutti uniti da un grande comune denominatore: la passione per il vino e la terra che li ha spinti a mettersi in gioco, piantar vigna e affrontare la sfida di diventare vignaioli. È la storia dell’imprenditore tessile Arnaldo Caprai, che con la sua azienda di Montefalco ha segnato la rinascita del Sagrantino, del fotografo Oliviero Toscani, con 12 ettari di vigne e terreni in quel di Bolgheri, del campione della bicicletta Francesco Moser, che riposta la maglia rosa ha indossato la casacca del vignaiolo in Trentino, o di Francesco Illy, che oltre al caffè si è messo a produrre Brunello di Montalcino: oggi si sono trovati su uno stesso luogo, una tavola rotonda, organizzata nel Congresso dei Sommelier Ais, di scena il 17 novembre a Firenze.
“La nostra è una storia di famiglia - ha esordito Arnaldo Caprai - che io ho iniziato e che mio figlio Marco ha portato avanti. Sono un imprenditore tessile, collezionista di merletti e ricami antichi, che ha deciso di scommettere sul vino. A Montefalco, c’era già una storia del vino, ma non c’erano vigneti. Abbiamo fatto uno studio sui vitigni antichi del territorio per trovare l’uva giusta da piantare. Ne abbiamo fatte di tutti tipi e ancora continuiamo la ricerca e fare prove. Non ci sentiamo arrivati - ha sottolineato - e dobbiamo e possiamo sempre migliorare: devo dire che mio figlio Marco è arrivato a produrre una qualità del vino che io non avrei mai fatto. Quest’anno siamo stati anche premiati come cantina europea dell’anno dalla rivista Usa Wine Enthusiast. In Italia - ha concluso - possiamo fare tutto quello che vogliamo con il vino. Sono i territori e la cultura che ci permettono di fare vini di livello. Dobbiamo vendere con la qualità, l’eccellenza, la cultura e non con il prezzo”.
Francesco Illy ha spiegato il suo concetto di viticoltura, e la sua idea di “viti Bonsai, un grappolo a pianta”. Per l’imprenditore a livello mondiale il mondo del vino avrebbe bisogno di più “degustazioni alla cieca, che non sempre premiano i vini più blasonati”. “Queste degustazioni - ha aggiunto - vengono fatte meno del necessario, ma alle volte danno degli ottimi risultati. Tanti oggi comprano vino senza conoscerlo e senza mai berlo. Questa è una bolla destinata a scoppiare a breve. Il sistema per far crescere i prezzi del vino è destinato a scoppiare presto” e “così torneremo alle degustazioni alla cieca” per comprendere il vero valore di una bottiglia.
Secondo Toscani “la ricerca del consenso crea mediocrità e io faccio il vino che mi piace. Non so fare il vino ma faccio un altro mestiere che, però, aiuta molto. Fare il fotografo è un’analisi della vita”. Il fotografo ha ricordato la nascita della sua passione per vino quando “alla fine anni Sessanta ho deciso di andare a vivere in campagna, e comprai un pezzo terra vicino Bolgheri. A tutti chiedevo come mai lì non ci fossero vigne lì e rispondevano che lì il vino non veniva bene perché c’era il mare. Ma anche a Bordeaux c’è il mare. Poi sono iniziati a venire i produttori da fuori toscana. Oggi il produttore più vicino a Bolgheri è di Firenze”. Per Toscani, “il vino italiano ha bisogno di maggiore modernità” e “serve anche un rapporto più sociale e di fare sistema. Ognuno pensa che l’unico vino buono sia il proprio e quello degli altri solo un vinaccio. Viviamo il vino come tribù. Creiamo nomi di denominazioni impronunciabili. Non c’è niente da fare non riusciamo ad organizzarci e ci vorranno tre generazioni ancora per farlo”. Nel suo intervento, anche “stoccate” al modo di consumare oggi il vino che vede un “mercato dove siamo tutti condizionati dall’avere i marchi giusti per essere accettati. Ho bevuto dei Lambruschi che mi hanno dato una gioia incredibile e vini blasonati che vanno bene per i funerali, voglio i vini che vanno bene per i battesimi e non per i funerali. Una bottiglia da 300 euro non credo sia 100 volte più buona di una da 3”.
Il campione Moser ha ricordato di essere “nato in un paese agricolo, in cui l’attività principale era l’uva. Quando smesso di correre ho iniziato l’attività nel vino. Oggi facciamo vini diversi dal passato. Nel 1963 tra i primi a piantare in Trentino Chardonnay e Muller Thurgau, mentre prima in trentino si produceva solo schiava. Oggi mi occupo soprattutto della coltivazione della vite, ma non della cantina”.

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