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Corriere della Sera

Alla corte di re Tignanello il vino che cambiò tutto…Firenze, da Sting a Nannini alla celebrazione a Palazzo Antinori … Quando è nato, era così rivoluzionario che non si riusciva a trovare una categoria che gli rendesse onore. Il Tignanello, dal 1974, ha cambiato l’immagine del vino italiano nel mondo, facendo da apripista a quel Rinascimento enologico che ha reso il Belpaese un campione dell’export (quasi 8 miliardi di euro) e della qualità. Eppure, il Tignanello era stato definito “vino da tavola” prima e “vino tipico” poi, perché non si atteneva alle regole vigenti dei disciplinari, come quello del Chianti Classico. Né Doc né Docg, retrocesso nello scalino più basso. A risolvere l’enigma ci pensò un critico americano che definì il Tignanello come un Super Tuscan. Una definizione che ha creato un nuovo mondo, quello dei rossi che oltrepassano la tradizione, al di là degli schemi. Cinquant’anni dopo, imprenditori e collezionisti, cantanti e attori, accomunati dalla passione per il Tignanello, hanno reso omaggio al grande rosso in una serata-evento fiorentina a Palazzo Antinori, animato e colorato da una installazione (visibile ogni sera fino al 9 giugno) di Felice Limosani, autore di opere come Dante, Il Poeta Eterno, acquisita dalla Harvard University. A degustare le bottiglie di cinque decadi di Tignanello, sono stati invitati nello stesso salone del Quattrocento, Sting e la moglie Trudie, a poca distanza da Gianna Nannini e dall'attrice che la interpreta in Sei nell’anima, Letizia Toni. Nei bigliettini ai tavoli comparivano i nomi dei manager di alcune delle più importanti aziende europee, da Ferrari a Rolex. Con quelli delle aziende mondiali ma vicine, come i fiorentini Ferragamo. Per celebrare l’anniversario, il marchese Piero Antinori (85 anni vissuti in piena forma, da pilota di elicotteri e aerei) ha voluto lasciare un segno in città, supportando il primo restauro conservativo di Ponte Vecchio. Ora alla guida dell’azienda di famiglia, con 700 anni di storia e 26 generazioni, c’è la figlia Albiera, presidente, con a fianco le sorelle Messia e Allegra. Quando, ragazzo di 28 anni, Piero Antinori venne chiamato dal padre, non si aspettava di doversi mettere al timone della Marchesi Antinori. Era il 1966, un momento difficile per l’azienda, la fine della mezzadria aveva diminuito la cura dei vigneti. Bisognava ripartire. “Adesso è il tuo turno”, gli disse il padre. Da quel momento il marchese ha cercato di trovare idee innovative e di raccogliere le persone migliori del settore accanto a sé. Il primo è stato Emile Peynaud, professore all’Università di Bordeaux. Il secondo era l’enologo dell’epoca della Marchesi Antinori, Giacomo Tachis, uno che aveva la biblioteca zeppa di classici latini e greci. Insieme a loro mise a punto il progetto del Tignanello. “All’inizio — ha raccontato Piero Antinori alla serata in suo onore organizzata dal Comitato Grandi Cru al Vinitaly — fu un vino un po’ controverso, perché uscì come vino da tavola, in un momento in cui si facevano strada le denominazioni di origine. Fu quindi oggetto di qualche critica e osservazione, ma sia a livello nazionale che internazionale destò l'interesse di appassionati e giornalisti: e alla fine ha rappresentato l’inizio della nuova era vinicola italiana”. E così il primo Sangiovese affinato in barrique, il primo assemblato con una varietà internazionale come il Cabernet, nato su un terreno di 57 ettari nel cuore del Chianti Classico, è la realizzazione di un grande vino, secondo la definizione di Piero Antinori: “Un vino con personalità, capace di invecchiare e dare piacere edonistico e intellettuale, perché il vino è un fatto di cultura”.

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