Marco Caprai lancia l’allarme: tra pochi anni si potrebbe trovare in commercio un vino che si chiama Sagrantino ma che è stato prodotto in Veneto o in Sicilia. L’anno scorso infatti sono state vendute in tutta Italia 1.200.000 barbatelle di Sagrantino, e quest’anno saranno molte di più. Ciò significa che in due anni ci saranno in giro per la penisola 600-700 ettari di vigneto impiantati a Sagrantino, mentre a Montefalco, area di origine di questo vitigno, ve ne sono attualmente 150.
«Una situazione paradossale - spiega Marco Caprai - che rischia di mettere in grave pericolo un patrimonio di tipicità che da sempre appartiene al nostro territorio. Ho denunciato questa situazione, e da più di un anno è stata presentata al Ministero dell’Agricoltura la domanda per poter utilizzare il nome “Sagrantino” esclusivamente all’interno del territorio tutelato dalla Docg. Questo diritto è già stato riconosciuto a varietà tradizionali prodotte in altre zone, come il Picolit, il Brachetto, l’Albana di Romagna, i cui nomi non possono essere utilizzati al di fuori della zona a denominazione. Noi non abbiamo ancora ricevuto nessuna risposta».
Il danno per il Sagrantino di Montefalco potrebbe essere enorme, con il rischio di generare confusione nei consumatori. «Si tratta di una profonda ingiustizia nei confronti di tutti quei produttori che investono nei vitigni autoctoni e nelle piccole denominazioni, e che si trovano a dover fare da “sentinelle” alle tipicità del proprio territorio - aggiunge Marco Caprai - Spero che il nostro Ministero dell’Agricoltura riconosca l’urgenza e l’importanza della questione, per evitare situazioni come quelle recentemente verificatosi alla Commissione Europea di Bruxelles con la perdita di menzioni tradizionali da sempre appartenute al nostro Paese. Quello del Sagrantino - conclude Caprai - è un caso emblematico che dovrebbe fornire la spinta a tutelare maggiormente le produzioni tipiche del territorio. Le istituzioni devono essere in prima linea a combattere con tutte le armi a disposizione la fortissima spinta alla globalizzazione che ha investito il mondo del vino. Il pericolo che corriamo è di perdere per sempre pezzi della nostra identità».
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