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MERCATO

La pasta in Italia è sempre più cara ma gli agricoltori vengono pagati di meno

Coldiretti: nell’ultimo anno prezzo aumentato del 18% mentre il grano duro per produrla viene pagato il 30% in meno. E al nord il prodotto è più caro
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La pasta è uno dei simboli del Made in Italy (ph: Diego Conti da Pixabay)

La pasta, anche se rimane un alimento per tutte le tasche, in Italia è sempre più cara. E il costo non è omogeneo ma varia da zona a zona con penne e spaghetti che al nord sono più “salati” che al sud. In generale aumenta del 18% il prezzo della pasta nell’ultimo anno mentre il grano duro per produrla viene pagato agli agricoltori il 30% in meno nello stesso periodo. Lo rivela Coldiretti per la diffusione dei dati Istat sull’inflazione a marzo 2023 che, in controtendenza sulla decelerazione generale, evidenzia una stabilità nella crescita tendenziale dei prezzi dei beni alimentari risulti stabile in media a +12,9%.
“La pasta - sottolinea la Coldiretti - è ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano con l’aggiunta della sola acqua e non trovano dunque alcuna giustificazione le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori”. Una distorsione, continua Coldiretti, che appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo.
Una anomalia di mercato sulla quale, sostiene la Coldiretti, occorre indagare anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle 200.000 imprese agricole che coltivano grano. I ricavi, sottolinea la Coldiretti, “non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese. Le superfici agricole coltivate a frumento duro, secondo le prime previsioni del Masaf per quest’anno, sono in flessione per un investimento di 1,22 milioni ettari con una riduzione del 2% sull’anno precedente. Le difficoltà del mercato dei cereali sono peraltro confermate dalla decisione di Polonia ed Ungheria di bloccare le importazioni di grano dall’Ucraina, contestata dalla Commissione Europea. In Italia siamo di fronte a manovre speculative con un deciso aumento delle importazioni di grano duro dal Canada dove il grano viene coltivato secondo standard non consentiti in Europa per uso del glifosate nella fase di preraccolta”.
Per Coldiretti, occorre “ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. Bisogna riattivare da subito la Commissione Unica Nazionale per il grano duro, la cui attività in via sperimentale si è sospesa nell’ottobre del 2022, perché fornisce trasparenza al mercato e da la possibilità di poter mettere attorno ad un tavolo tutti gli attori della filiera eliminando le distorsioni e i frazionamenti delle borse merci locali”. Inoltre è “importante anche investire nella ricerca che, come motore dell’innovazione varietale, deve rispondere non solo alle richieste qualitative del mondo industriale, ma anche rispondere alle nuove esigenze produttive e di resilienza verso gli effetti del cambiamento climatico, rispondendo al contempo alle nuove richieste di sostenibilità volute dalla nuova Politica Agricola Comunitaria”.
La produzione nazionale di pasta è di 3,6 milioni di tonnellate di pasta, pari ad un quarto di tutta quella mondiale, grazie a 200.000 aziende agricole italiane impegnate a fornire grano duro di altissima qualità a una filiera che conta 360 imprese e 7.500 addetti, per un valore complessivo di 5 miliardi di euro.

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