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L'Espresso

Terreni d’altura. Vecchie viti. Vitigni locali come Nerello e Carricante. Così un enologo toscano si mette alla prova alle pendici dell’Etna… Uno dei punti di riferimento dell’enologia nazionale e internazionale, Carlo Ferrini, da qualche anno associa alle fondamentali competenze maturate in Toscana, sia come consulente che come produttore in proprio - con la solida esperienza ilcinese di Podere Giodo, ora condivisa con la figlia Bianca – l’amore per quell’ammaliante Sicilia che nei secoli ha stregato legioni di scrittori ed avventurieri. Se la prima, viscerale passione si chiama Sangiovese, infatti, inteso in tutte le sue declinazioni, la seconda si incarna nelle fattezze del Nerello Mascalese, altra tipologia carismatica e verace, dotata di qualità indiscutibili e che, proprio sulle pendici dell’Etna, riesce a raggiungere le sue punte espressive. Poco meno di
due ettari, quelli del progetto isolano, spezzettati in piccole parcelle, tutte collocate a circa 950 metri, ma soprattutto un patrimonio varietale incommensurabile, fatto di piante vecchie, coltivate ad alberello, per la
maggior parte pre-fillosseriche, tra gli 80 e i 100 anni di età. Affinamenti di grande precisione in cantina, dove viene privilegiato il legno di piccola dimensione, completano il percorso grazie al quale un vino elegante ed intenso, poetico e sensuale, prende forma. A completare la linea un altrettanto intenso progetto, riguardante l’altro “cavallo di razza” etneo, ovverosia il Carricante, di cui, grazie agli appezzamenti dislocati tra Contrade Rampante e Pietrarizzo, da un paio di annate si dà un’interpretazione in bottiglia altrettanto ragguardevole. Il resto lo fa la magia del vulcano, ormai punto di attrazione fondamentale per tutta la viticoltura di qualità dell’area del Mediterraneo. Etna Rosso DOC Alberelli di Giodo 2017. La sfida del Nerello Mascalese coltivato a 950 metri su vitigni pre-fillossera, la possibilità di imprimere la propria firma su un vitigno mitologico: ecco l’esperienza di Alberelli di Giodo in Sicilia. Naso di more di rovo con richiami di cappero, tocchi di mirto e macchia mediterranea. Palato teso, denso e compatto, finale con ritorno della traccia sapida. Perfetto con un classicone della cucina di strada siciliana come il “pani câ meusa”.

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