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L’AGRICOLTURA DEL DOMANI

Raggiungere il 25% di terreni a conduzione bio in Italia? Si può fare ma in un’ottica di sistema

Nella tavola rotonda, promossa da Demeterin Sana, idee su “Green New Deal” e “Farm To Fork” per la realizzazione di un sistema alimentare sostenibile
AGRICOLTURA, BIO, DEMETER, SANA, Non Solo Vino
In Italia i terreni a conduzione biologica sono il 18%

Che il biologico in Italia sia qualcosa di molto concreto lo dicono i numeri. Quella del Belpaese è l’agricoltura più green d’Europa e i consumatori sono sempre più sensibili e attenti a quello che acquistano: si spiega così l’incremento delle vendite sul mercato interno (+9%) e dell’export (+8%). Ma i margini di crescita ancora ci sono anche se servirà l’unione di intenti e di buone pratiche tra imprese, istituzioni e cittadini, per raggiungere la sostenibilità ambientale. Messaggio chiaro e semplice, per quanto complesso a farsi, emerso nel convegno “Più Bio per tutti, ce lo chiede l’Europa. Siamo pronti?”, di scena nel Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, Sana
Una tavola rotonda, voluta da Demeter Italia, per sottolineare come, per la costruzione e il consolidamento di sistemi alimentari sostenibili, sia necessaria una rete di alleanze sempre più estesa che condivida i medesimi obiettivi
. E dove si è ragionato sugli obiettivi del Green New Deal , che indica un percorso ben definito, orientato a trasformare l’Unione Europea nel primo territorio ad impatto climatico zero entro il 2050, ed in particolare delle strategie che riguardano più da vicino il mondo dell’agricoltura e dell’ambiente - la “Farm to Fork: dal produttore al consumatore” strettamente connessa alla strategia “Biodiversità” - e per fare inoltre chiarezza sulla situazione italiana dal punto di vista produttivo, normativo e per quel che riguarda la consapevolezza dei cittadini riguardo un tema così importante per il futuro del nostro Paese.
Gli obiettivi della “Farm to Fork” da raggiungere entro il 2030 consistono nella riduzione del 50% dei pesticidi chimici, di almeno il 20% dei fertilizzanti e del 50% delle vendite di antimicrobici e antibiotici, oltre al raggiungimento di una quota del 25% del suolo agricolo dedicato al biologico entro il 2030. In Italia i terreni a conduzione biologica sono il 18% della Sau (Superficie Agricola Utilizzata, ndr) - una situazione decisamente buona rispetto ad altri Paesi europei - quindi l’obiettivo del 25% può verosimilmente essere superato, ma i relatori hanno concordato sul fatto che questo obiettivo quantitativo non può essere considerato in sé, deve essere visto in un’ottica di sistema: questo è stato il fil rouge di tutti gli interventi.
Francesco Torriani, coordinatore del biologico dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari Italiane, ha sottolineato la necessità di incentivare le “politiche agricole a favore della produzione biologica, in modo che ne beneficino non solo le singole aziende, ma la filiera produttiva nel suo complesso”, per un sistema ‘smart’, sostenibile e professionale”. Maria Letizia Gardoni, presidente Coldiretti Bio e Biodistretto delle Marche ha esposto le ragioni di uno sguardo fiducioso verso il futuro ricordando come “la conversione al biologico e alla biodinamica continua ad attrarre nuove aziende, in particolare imprese condotte da donne e da giovani”, senza dimenticare però che “la criticità è rendere il contesto produttivo il più proficuo possibile: a livello di prezzi e consumi”. Franco Ferroni, dell’Ufficio Sostenibilità Wwf e coordinatore della coalizione Cambiamo Agricoltura, ha ribadito l’importanza di “una grande alleanza tra mondo agricolo, consumatori e associazioni ambientaliste. Il piano strategico nazionale anticipa al 2027 il raggiungimento del 25% delle superfici coltivabili a conduzione biologica e la filiera produttiva deve dimostrare di saper cogliere questa opportunità e di perseguire gli obiettivi del Green Deal con un approccio sistemico”. Sull’importanza dell’attività si è espressa anche Mariagrazia Mammuccini, presidente Federbio: “la Farm to Fork impone un modo di lavoro congiunto, in particolare su quattro fronti: i prezzi (talvolta troppo allineati con quelli dei prodotti convenzionali), le certificazioni (la burocrazia costituisce ancora un limite soprattutto per le piccole aziende), i mezzi tecnici (per registrare un principio attivo di origine naturale bisogna seguire lo stesso iter di quelli a formula sintetica) e la zootecnica, con la riduzione degli allevamenti intensivi per rimettere in piedi il legame tra l’animale, l’uomo e la terra”.
E proprio sull’elemento terra Damiano Di Simine, responsabile politiche del suolo Legambiente, ricorda che “finalmente è arrivata una proposta della Commissione Europea che tiene in considerazione la salute del suolo. È però indispensabile lavorare per non far prevalere la visione delle “corporazioni agricole” europee al fine di intraprendere un viaggio verso un nuovo paradigma agricolo, in grado di sovvertire l’agricoltura convenzionale degli ultimi 70 anni”.
Dalla salute del suolo a quella delle persone il passo è molto più breve di quanto non si creda. Renata Alleva, nutrizionista e componente della Giunta Esecutiva e del Comitato Scientifico Isde Italia (Associazione Medici per l’Ambiente), sottolinea che “è sempre più difficile trovare un individuo che non sia stato esposto a contaminanti e pesticidi; si tratta della principale causa di tumori. Le politiche agricole da sole, tuttavia, non bastano, bisognerebbe pensare ad iniziative per l’educazione alimentare, soprattutto nelle scuole”.
In questo quadro così complesso, i consumatori possono giocare un ruolo chiave e Federico Varazi, vicepresidente Slow Food Italia, precisa come sono le aziende che “devono fornire ai consumatori tutti gli elementi per fare la scelta migliore; solo in questo modo questi ultimi potranno scegliere consapevolmente prodotti che facciano loro del bene comprendendo il valore di una spesa che è non è solo alimentare ma è un investimento in ambiente e salute”.
In altri Paesi europei questa consapevolezza è già forte, come dimostrano le aziende biodinamiche italiane che mediamente fatturano per il 70% al di fuori del Belpaese. Enrico Amico, presidente Demeter Italia ritiene che “questo succeda perché, attraverso un marchio riconosciuto come Demeter, il consumatore instaura una relazione di totale fiducia nei confronti del produttore. In quest’ottica, per incentivare tale processo anche da noi, abbiamo bisogno di strumenti, come ricerca e formazione, che anche quando non ci saranno più i finanziamenti europei, rendano sostenibile a lungo termine la transizione verso il modello biologico e biodinamico”.

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