Le uve arrivano sulla terra ferma, con le prime luci dell’alba, trasportate dai barconi a fondo piatto, tipici delle saline nella Riserva Naturale dello Stagnone di Marsala. Sono uve di Grillo, varietà che nasce dall’incrocio di Cataratto e Zibibbo, una sorta di simbolo della rinascita della viticoltura siciliana del dopo fillossera nei primi del ‘900. I profumi di zagara, di cedro e di foglia di limone, la freschezza e la sapidità che si ritrovano in questo bianco, finto semplice, sono sorprendenti quando si pensa che questo vino nasce in uno dei terroir più a sud dell’emisfero nord. Siamo sull’Isola di Mozia che sulle mappe emerge come un puntino di terra tra l’Africa e l’Italia. Un micro-terroir per la vite, già noto ai Fenici nel VIII sec. a.C. ed oggi abitato soltanto dai venti e dalla salsedine. Questa antica colonia fenicia riesce oggi a dar luce ad un piccolo capolavoro di enologia italiana grazie alle miracolose riserve di acqua sotterranea e ai sistemi di allevamento ad alberello con potatura alla marsalese che, intrecciando due lunghi tralci, forma una coppia archetti che proteggono l’uva dai venti marini e dal sole. Ma i motore propulsivo del progetto è, come sempre, qualcosa di più intangibile. È l’idea di tutelare il bellissimo ecosistema che nasce dall’incontro di due famiglie, quella dei Whitaker, custodi dell’isola dal 1940 e quella dei Tasca, viticoltori da otto generazioni.
(Filippo Bartolotta)
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